Mercato del lavoro, occupati e assistiti

Il mercato del lavoro post COVID-19 continua a offrire incoraggianti segnali di ripresa: il mismatch tra domanda e offerta, sia sulle posizioni più tecniche sia su quelle meno qualificate, rischia però di compromettere le opportunità del PNRR. Ecco perché, numeri alla mano, all'Italia servono più politiche attive e meno assistenzialismo

Alberto Brambilla

Se volessimo scattare una fotografia del mercato del lavoro italiano la potremmo sintetizzare così: migliorano ancora in settembre i livelli occupazionali, il PNRR non è ancora partito ma già mancano circa 500mila lavoratori che le imprese non trovano e, nel contempo, assistiamo oltre 4,5 milioni di persone con reddito di cittadinanza, cassa integrazione e indennità varie.

Iniziamo con le note positive, l’occupazione. I dati Istat indicano anche a settembre un aumento di 59mila occupati, con un recupero rispetto allo stesso mese del 2020 di 273mila unità e più 507mila dall’inizio del corrente anno, il che ha consentito un quasi totale rientro dal crollo degli occupati provocati dalle due ondate pandemiche di COVID-19, quando si è passati dai 23.376.000 del 2019 ai 22.839.000 di fine 2020 (-537.000 posti secondo Istat). La maggior parte delle nuove assunzioni, com’era prevedibile, è nel lavoro dipendente a tempo determinato con 97mila nuovi posti in più nell’ultimo mese e 353mila rispetto a un anno fa, soprattutto nel settore dei servizi e prevalentemente stagionali, i più penalizzati dalla crisi da nuovo corononavirus. Tra le nuove assunzioni spiccano le categorie che hanno sofferto di più il blocco delle attività, come le donne che recuperano 139mila posti (ne avevano persi circa 280mila nel corso della crisi) e gli under 34, con un +220mila nuovi ingressi, il che riduce il numero dei cosiddetti inattivi di 280 mila unità.

Nonostante ciò, l'Italia resta sempre penultimi nelle classifiche sui tassi di occupazione dei 27 Paesi più UK, molto vicini alla Grecia ma distanti 9,6 punti percentuali rispetto alla media UE pari a circa 3,8 milioni di occupati e circa 15 punti dai Paesi del Nord Europa. Un numero di nuovi potenziali posti che è simile a quello delle persone attualmente assistite con soldi pubblici: infatti, tra reddito di cittadinanza (circa 3,3 milioni di persone), casse integrazioni COVID o in deroga, indennità per la disoccupazione (NASpI, DIS-COLL e varie) e bonus di ogni tipo, ammontano a circa 4,5 milioni gli italiani - quasi tutti in età di lavoro - sussidiati su un totale di circa 20 milioni tra dipendenti, autonomi e liberi professionisti. Se, solo per esercizio a beneficio di quelli che vorrebbero assistere a debito l’universo intero, sommassimo questi 4,5 milioni ai circa 7,9 milioni di pensionati assistiti e, considerando che a ogni contribuente corrispondono 1,44 cittadini, si scoprirebbe che con i soldi di tutti noi vengono assistiti quasi 18 milioni di cittadini.

Quanto alla CIG, che il ministro Orlando vorrebbe addirittura estendere anche alle aziende decotte e a quelle con più di 5 dipendenti, ci si pone la domanda: chi controllerà questi nuovi beneficiari all’interno di piccole realtà che ricomprendono la quasi totalità delle attività commerciali, artigianali e di servizi oltre a quelle turistiche? Con quale esercito di ispettori? Con grande probabilità avremo abusi forse peggiori di quelli commessi per il reddito di cittadinanza. Figurarsi poi se dovesse passare l’ipotesi sugli ammortizzatori sociali e sui lavori gravosi proposta sempre dal Ministro Orlando: non si troverebbe più gente disposta a lavorare (almeno in chiaro) e si tornerebbe al ritornello del fabbisogno di nuovi immigrati, con gli italiani comodi sul divano a carico di quelli che lavorano e gli immigrati a fare quello che gli “indigeni”, peraltro con bassi livelli di istruzione e alti livelli di povertà educativa e sociale, non vogliono più fare.

Insomma, una Repubblica fondata non sul lavoro ma sui tanti diritti e su zero doveri. E così continueremo ad avere tante difficoltà non solo per le posizioni qualificate ma anche per buona parte delle mansioni con bassa qualificazione: un tema sul quale si dovrebbe riflettere a lungo. Il fatto poi che la maggior parte dei contratti sia a termine non significa, come da più parti si afferma, che si sta precarizzando il lavoro e che quindi devono essere ripristinate le limitazioni normative per le assunzioni a termine sospese nel corso della pandemia. Anzi, speriamo che nessuno voglia tornare al cosiddetto Decreto Dignità, che non aveva nulla di dignitoso e ha fatto perdere a centinaia di migliaia di giovani un'opportunità di lavoro in una società sempre più liquida e dinamica dove il posto fisso può essere prevalente solo nel pubblico e nelle aziende medio-grandi.

La questione vera sono le politiche attive del lavoro per le quali si vedono poche o nulle novità: solo una controriforma degli ammortizzatori sociali che allunga i periodi di sussidio, riduce le contribuzioni e dilata, come detto, la CIG. E così si tonerà al periodo che ha preceduto il Jobs Act con centinaia di migliaia di lavoratori stagionali che da oltre 20 anni lavorano per 6 mesi e sono assistiti per i restanti 6. Ovviamente ampliando a dismisura il lavoro irregolare per non perdere il sussidio, esattamente come per il reddito di cittadinanza, addirittura rifinanziato. Ridicolo è il décalage che per chi è in NASpI riduce la prestazione del 3% al mese, e dell’1% per il reddito di cittadinanza. Come si diceva occorrerebbe semmai un pacchetto di politiche attive a partire dalla messa in rete di centri per l’impiego, università scuole professionali e agenzie private per il lavoro: senza un collegamento “arterioso” (l’anagrafe generale) non c’è alcuna possibilità di successo, mentre la rete andrebbe invece ampliata con “applicazioni” di cui potrebbero beneficiare tutti gli interessati, i giovani in primis. Occorre poi mixare le politiche attive, che sono materia regionale, con gli interventi assistenziali perché senza una gestione complessiva delle due azioni per il lavoro (sostegno e avviamento) aumentare l’occupazione sarà difficile; e, infine, sostenere le attività artigianali e commerciali che continuano a perdere in termini di occupazione (-150mila rispetto al settembre 2020).

Solo un ampio coinvolgimento delle regioni e la messa a terra delle azioni descritte risolverebbero il terzo grave problema: la mancanza di lavoratori. Alle imprese mancano i lavoratori edili, i meccanici, i saldatori, così come chi deve lavorare su macchine ad alta tecnologia; mancano i periti, i ragionieri e i geometri ma anche cuochi o camerieri. Senza queste figure e continuando a insistere su sussidi e ammortizzatori sociali (che dovrebbero essere pagati da tutte le attività magari introducendo tariffe bonus malus), anche la bella ripresa che caratterizza il Paese potrebbe essere compromessa o rallentata e, con essa, anche i benefici del PNRR. 

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

24/11/2021

L'articolo è stato pubblicato su Il Messaggero del 18/11/2021
 
 
 

Ti potrebbe interessare anche