Il modello spagnolo e l'Italia che resta ferma sul lavoro!

Malgrado il contesto sociale in evidente cambiamento, l'Italia sconta tuttora la mancanza di un'agenda chiara ed efficace sull'occupazione femminile e sui servizi per favorire una genitorialità condivisa: cosa può insegnare il "modello spagnolo"

Claudia Segre

È venuto il momento di chiederci come risolvere e affrontare un cambiamento sociale che vede coinvolte prima di tutto le nuove generazioni portatrici di competenze digitali e poi un mondo del lavoro stravolto. Non solo dalla rivoluzione digitale, ma anche dagli effetti devastanti di una crisi economica globale alla quale è seguita una crisi bancaria italiana devastante per molti territori e attività imprenditoriali.
 
Di fronte al persistere di una bassa natalità, di un aumento dei divorzi e delle difficoltà economiche delle famiglie (sovraindebitamento, ludopatie, frodi etc) assistiamo a una precarietà del lavoro, che vede emergere prepotentemente un’economia dei “lavoretti” detta gig economy.
 
L’assunto di partenza è che la conciliazione di lavoro e famiglia è un problema da sempre per le donne ma, alla luce di questa situazione, lo è anche per gli uomini. Così oltre 10 anni fa la Spagna iniziò a implementare da 2 giorni a 2 settimane il congedo per la condivisione della cura dei figli. E ora si appresta a rendere definitivo il passaggio dagli attuali 35 giorni a 16 settimane entro il 2020, uniformando quindi l’opportunità sia per le donne che per gli uomini di esercitare un diritto sociale non cedibile e una corresponsabilità all’assistenza dei figli che è il vero cambiamento.
 
Secondo i dati INAIL, oltre l’82% di risoluzioni consensuali per le donne sono dovute alle difficoltà di gestire i figli dopo il parto per carenza o lontananza degli asili, mancanza e/o difficoltà nell’ottenere la flessibilità oraria o il part-time, il 60% delle oltre 7 milioni di casalinghe in Italia rientrano nell’età della forza lavoro e, in Italia, l’occupazione femminile è ferma al 50% rispetto al 68% della media europea. Alimentare un boom nell’occupazione femminile porterebbe a un incremento fattivo del PIL che, secondo la Fondazione Moressa, arriverebbe a 268 miliardi di euro.
 
Ovviamente è arduo pensare che tutte trovino lavoro rapidamente, ma l’assenza di un’agenda chiara ed efficace sull’occupazione femminile e sui servizi per favorire una genitorialità condivisa, con bonus fiscali per le aziende che assumono donne e offrono servizi alla prima infanzia, tolgono ogni possibilità per combattere la deriva sociale ed economica di molte famiglie che porta spesso a dissesti economici nei quali i casi di violenza domestica proliferano. Per non parlare dell’assenza totale di promozione per i talenti femminili e il supporto alla ricerca scientifica delle nuove generazioni verso un mondo del lavoro che cerca competenze tecnico-scientifiche molto carenti in Italia.
 
Impegnarsi per favorire l’occupazione femminile vuol dire cogliere anche la sfida di politiche a sostegno della famiglia sostenibili nel lungo termine e creare valore per un Paese competitivo. Tutto ciò è imprescindibile dall’importanza delle donne, come ben han compreso gli spagnoli che, in 10 anni, con una piattaforma sulla parità effettiva di genere, hanno cambiato il volto del Paese riducendo la disoccupazione e il gap sociale. Questa è stata perseguita come una riforma strutturale di lungo termine portata avanti dai governi che si son avvicendati senza badare a destra o sinistra, ma solo al bene del Paese e dei suoi cittadini.
 
Claudia Segre, Presidente Global Thinking Foundation
 
17/12/2018
 
 
 

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