Pensioni: tagli e prelievi, le promesse mancate (2)

Scatta a giugno quello che è stato impropriamente definito il "ricalcolo delle pensioni d'oro": a ben vedere, un taglio a tutti gli effetti che colpisce peraltro le rendite pensionistiche già maggiormente vessate da metodo di calcolo e tassazione

Alberto Brambilla, Gianni Geroldi e Antonietta Mundo

Oltre alla perdita del potere di acquisto delle pensioni sopra 5 volte il trattamento minimo di cui abbiamo parlato nei precedenti commenti, da giugno scatterà quello che, impropriamente, è stato presentato come un “ricalcolo delle pensioni cosiddette d’oro” sulla base dei contributi versati: in realtà, un “taglio” vero e proprio che, per percentuale e durata, non ha precedenti. Più corretto sarebbe definirlo un incremento tra il 15% e il 40% di imposte su pensioni peraltro già assoggettate a una tassazione superiore al 40%. Un taglio che genererà entrate per lo Stato per circa 70 milioni di euro all’anno (tabella 1), per un totale di circa 350 milioni, considerata la durata quinquennale della misura che grava su pensioni già assoggettate a una forte tassazione e che non beneficiano di alcuna agevolazione o deducibilità. 

Tabella 1 - Tagli alle pensioni alte

Tagli alle pensioni alte

Fonte: Elaborazioni a cura Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali (valori stimati su dati casellario centrale dei pensionati; valori in euro)

 

False comunicazioni 

Se fossimo un Paese normale, le dichiarazioni del Ministro del Lavoro sulle pensioni di importo oltre i 100mila euro lordi (55mila netti, una bella differenza) dovrebbero essere perseguite come “false comunicazioni”, con l’aggravante dell’istigazione all’odio di classe; infatti, il Ministro insiste sul verbo “ricalcolare” quando è ormai noto a tutti che il ricalcolo è pressoché impossibile (rimandiamo al nostro approfondimento dello scorso agosto). Non contento, definisce i pensionati “nababbi”, “d’oro”, che hanno prestazioni superiori ai contributi versati, mentre ci sono pensioni basse. Ora, che ci siano più di 8 milioni di pensionati su 16 milioni con prestazioni tra i 400 e i 750 euro (pensioni sociali e pensioni di invalidità con indennità di accompagnamento) è vero, ma lo è altrettanto il fatto che, proprio perché totalmente o parzialmente assistiti dallo Stato, significa i beneficiari di queste prestazioni che di imposte e contributi ne hanno pagate pochi nell'arco della propria vita lavorativa, e sono stati dunque per 65 anni a carico della società che, giunti all’età della pensione, provvede ancora al loro mantenimento.

 

Pensioni già ridotte in partenza 

Questo la politica dovrebbe saperlo, così come dovrebbe essere al corrente del fatto che i circa 29mila soggetti cui taglierà brutalmente la pensione sono proprio quell’1,13% di italiani che pagano il 20% di Irpef contro il 3% di Irpef pagata dal 50% dei contribuenti totali, tra i quali ci sono proprio i beneficiari delle pensioni minime che, per legge, non sono sottoposti a imposte. Ci sarebbe di che meditare. Soprattutto se si tiene conto che queste pensioni sono già state tagliate di molto in fase di calcolo retributivo. Infatti, mentre per importi fino a 47mila euro circa si applica il 2% per ogni anno lavorato (2% per 35 anni fa 70%, il che vuol dire percepire il 70% dell’ultimo reddito), per una pensione derivante da un reddito di 150mila euro l'aliquota media di rendimento passa dal 2% all'1,05%, per cui la pensione sarà tra il 36,75% (dipende dalla media dei redditi nella vita lavorativa) e il 51% dell’ultimo reddito.

Se sommiamo la perdita di potere d’acquisto delle pensioni causato dal reiterato mancato adeguamento all’inflazione e questo taglio, stupirebbe un mancato intervento della Suprema Corte, considerando soprattutto il fatto che, non trattandosi di ricalcolo contributivo, il "ricalcolo" è un evidente aumento dell'imposizione fiscale limitata a soli 29mila cittadini nella posizione di pensionati, che non si possono neppure difendere, mentre se contributo fiscale doveva essere avrebbe dovuto grave su tutte le tipologie di redditi (e non solo su quelli da pensione). 

 

La circolare INPS 

Ma le contraddizioni della legge non finiscono qui, perché non solo viene effettuato il ricalcolo, ma si aggiungono anche - per far lievitare il reddito oltre i 100.000 euro (e la relativa platea di pensionati) - addirittura le pensioni totalmente o parzialmente contributive. Infatti, anche sul metodo applicato per il “taglio” esposto nella circolare n. 62/2019 dell’INPS, emergono molte perplessità. 

La principale riguarda l’utilizzo della Gestione Separata (con pensioni completamente contributive) ai fini del calcolo dell'ammontare della pensione. Come si vede nella tabella 2, la circolare illustra un esempio in cui proprio la Gestione Separata è cruciale ai fini del calcolo della pensione a cui applicare il taglio, salvo venire esclusa ex post (quando però il “danno” è ormai fatto). Nell’esempio 1, la prestazione da 140mila euro è divisa per 70.000 euro nel FPLD, 50.000 nel CTPS e 20.000 nella Gestione Separata: queste cifre generano un’eccedenza di 40.000 euro oltre i 100.000, 30mila dei quali vengono “tassati” al 15% (4.500 euro), i restanti 10mila al 25% (2.500 euro), generando trattenute totali di 7.000 euro. Questi ultimi vengono poi suddivisi in base alle percentuali per le quali le varie gestioni “pesavano” sul reddito lordo iniziale: 3.500 di FPLD (ossia 7.000 per il 50%) e 2.500 di CTPS (35,71% di 7.000); gli ultimi 1.000, corrispondenti al 14,29% della Gestione Separata, non vengono trattenuti forse perché ci si è resi conto che tale gestione è totalmente contributiva e, quindi, non riducibile. Tuttavia, se la Gestione Separata fosse stata esclusa fin dall’inizio (come si vede nella tabella 3), il totale iniziale sarebbe stato di 120.000, innescando una fascia in meno e, dunque, addirittura la metà delle trattenute.

Tabella 2 - Calcolo del taglio alle pensioni alte mediante l’utilizzo della Gestione Separata

Tabella 3 - Calcolo del taglio alle pensioni alte con il conteggio della Gestione Separata

Fonte: elaborazioni a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

La stessa cosa, facendo un altro esempio, accade su una pensione più bassa, pari a 119.217 euro (esempio 2). Qui è ancora più semplice vedere come i 4.596 euro della Gestione Separata aumentino lo scaglione a cui applicare il 15% di taglio (che è di 19.217; altrimenti sarebbe stato di 14.621): questo apparentemente ininfluente scambio di ordine di calcolo genera una tassa per il pensionato in questione più alta di 578 euro, ossia il 26% in più di quanto avrebbe dovuto dare.

Tabella 3 - Calcolo del taglio alle pensioni alte senza il conteggio della Gestione Separata

Tabella 3 - Calcolo del taglio alle pensioni alte senza il conteggio della Gestione Separata 

Fonte: elaborazioni a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

 

Le altre incongruenze 

Ma i problemi insiti in questo “falso” ricalcolo non finiscono qui. Oltre all’uso delle prestazioni derivanti dalla Gestione Separata ai fini della determinazione dell’importo sul quale calcolare il taglio, ci sono molte altre distorsioni: ci può essere la possibilità che il pensionato sia in tale status dal 2018 e che quindi abbia avuto un calcolo contributivo pro rata dal 2012 (introdotto dalla Fornero), pertanto, i quasi sette anni - un quinto di vita pensionistica - sarebbero già calcolati a contributivo e, quindi, dovrebbero essere scorporati dall’importo della pensione retributiva. Probabilmente questo farebbe scendere ulteriormente la pensione dell’esempio 2, magari proprio di 15mila euro, e dunque sotto i 100.000, cancellando d’un colpo il taglio. Premesso, come abbiamo avuto più volte affermato, che tutta questa legge è incostituzionale e rischia appunto di incrementare il "rancore" sociale tra i cittadini, ci sono altre gravi errori tecnici ed etici: si pensi a tutte le pensioni frutto di ricongiunzioni onerose, pagate o in pagamento dai beneficiari oppure a tutte le contribuzioni volontarie o ai riscatti di laurea e specializzazioni (per i medici possono essere fino a 10 anni, di cui 6 di laurea e 4 di specializzazione, pagati a proprio carico); la parte di pensione derivante da queste contribuzioni non può essere sottoposta al taglio. Ci sono poi quelli che sono andati in pensione con più di 40 anni di anzianità contributiva che, nel retributivo, costavano fior di contributi (33mila euro su 100mila euro di reddito), ma non davano luogo ad alcuna prestazione; o quelli che sono andati in pensioni a 71 o più anni, come i magistrati, e che il calcolo contributivo dovrebbero premiare con un aumento della pensione, e non con un taglio. 

 

Tartassati per la terza volta 

Dicevamo all'inizio che questi pensionati hanno già avuto una perdita di potere d'acquisto della pensione a causa dei continui blocchi o riduzioni dell'adeguamento delle pensioni all'inflazione; solo per memoria (e anche di questo la Suprema Corte dovrebbe tener conto) si ricorda che un lavoratore andato in pensione nel 2006, con una prestazione pari a 8 volte il trattamento minimo, in 14 anni ha già perso quasi l’11% di valore della pensione che, non va trascurato, è già stata ampiamente ridotta in fase di calcolo iniziale e che continuerà a perdere valore finché è in vita (così come perderà valore anche la quota reversibile). 

Ci saranno sicuramente tantissimi ricorsi e gli argomenti per un positivo accoglimento da parte della Corte Costituzionale certo non mancano. Ma quello che è più grave e degradante per il nostro Paese (e, purtroppo, si tratta di un argomento ricorrente nei talk show) è che i soldi si prendono dove ci sono. Fondamentale fare una riflessione perché a questo punto crolla la certezza del diritto e si va dritti verso la barbarie e l’impoverimento graduale di tutti. Intanto, ci auguriamo che l'INPS (e magari una parte del Governo) riveda i contenuti della citata circolare.

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

Gianni Geroldi, Comitato Tecnico Scientifico Itinerari Previdenziali

Antonietta Mundo, Già Coordinatore generale statistico-attuariale INPS 

5/6/2019

 

 
 

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