Ridurre le imposte? Consigli per il governo che verrà

Al nuovo esecutivo è affidato l'auspicio di una seria riforma fiscale, che sappia andare oltre la dicotomia "ricchi" e "poveri" tanto cara a una certa narrazione politica e sostenere adeguatamente anche la diffusione del welfare complementare

Alberto Brambilla

La tanto attesa e sbandierata flat tax al 15% fino a un certo livello di redditi e poi al 20%-25% serve davvero ai cittadini? È una proposta in buona fede con l’intento di agevolare i contribuenti o un escamotage della politica per proseguire nella solita narrazione ed evitare il duro e competente lavoro che una seria riforma fiscale con diritti e doveri richiede? Rispetto a proposte come il “contrasto di interessi”, già ampiamente applicato per le ristrutturazioni e il risparmio energetico, o altre iniziative di controlli e incroci di dati, è forse meglio tenere un sistema che perseguita gli onesti e mantiene elevati livelli di inefficienza, ma che poi consente di acquisire benevolenza (elettorale) con condoni, pace fiscale, stralcio e chi ne ha più ne metta? 

Sulle ultime due domande, vedendo cosa ha fatto la politica negli ultimi 20 anni, la risposta non può che essere: purtroppo sì! Non è cambiato nulla, solo promesse in campagna elettorale. Quanto alla prima domanda, che è certamente la più importante, la risposta la troviamo nella tabella in pagina. 

Tabella 1 - Aliquota media per classi di reddito complessivo

Fonte: Elaborazioni a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

Occorre tuttavia una premessa: la flat tax, proprio per l’elevato livello di semplificazione, presuppone l’eliminazione di tutte le deduzioni e detrazioni previste nel nostro ordinamento, compresi gli 80 euro del cosiddetto bonus Renzi; quindi, tutte le agevolazioni per i fondi pensione, quelli sanitari, le assicurazioni per la non autosufficienza, per i mutui e così via sparirebbero. Saremmo l’unico Paese avanzato che non agevola il welfare complementare; proprio noi che abbiamo il tasso di invecchiamento più elevato e le finanze pubbliche che difficilmente potranno mantenere in futuro il costoso stato sociale. 

Passando dallo storytelling politico ai numeri reali di oggi, considerando tutte le deduzioni e detrazioni e il citato bonus, ben 30,8 milioni dei 41,211 milioni di contribuenti, pari al 74,75%, hanno redditi tra zero e 26mila euro e  aliquote che non superano il 15%; addirittura i primi 15 milioni versano meno del 3% di IRPEF su redditi modesti e pagano meno di 160 euro di IRPEF l’anno, mentre gli altri 15 milioni pagano un’IRPEF che è ancora insufficiente per pagarsi la sola sanità (1.870 euro circa l’anno pro capite). Per questi contribuenti togliere tutte le deduzioni e detrazioni e applicare l’imposta del 15% secca equivarrebbe, probabilmente, a un aumento del carico fiscale,dunque preferiranno certamente l’attuale sistema. Ci sono poi altri 5,34 milioni di soggetti borderline,con redditi tra i 26 e i 35mila euro che hanno un’imposta tra il 16,9% e il 19%: con la flat tax guadagnerebbero poco e basterebbe una ristrutturazione, l’adesione a un fondo pensione o a una cassa di assistenza sanitaria integrativa per ridurre l’aliquota sotto il 15%. 

Poiché il limite di reddito a cui applicare la tassa piatta è stato fissato a 55mila euro (“per non favorire i ricchi”, ha affermato la politica), i beneficiari della flat sarebbero solo 3,25 milioni di contribuenti pari al 7,9%del totale, mentre 1,8 milioni di “ricchi” resterebbero all’asciutto anche se dalle parti della Lega hanno ventilato l’ipotesi di ridurre l’aliquota del 43% al 38%. Con questi dati la flat tax è una strada giusta, ne vale la pena? Non è forse meglio imboccare altre strade, ad esempio far funzionare meglio il monitoraggio e controllo e dotarsi di “25 milioni di finanzieri integerrimi”, le 25 milioni di famiglie italiane? 

Poniamoci una domanda: è verosimile che coloro che hanno un reddito lordo superiore a 75mila euro nel nostro Paese siano solo 938 mila? E sopra i 100 mila euro lordi solo 467 mila? Forse c’è qualcosa che non va se poi la ricchezza degli italiani (dati Bankitalia) sfiora i 10mila miliardie secondo le statistiche Ocse, ci colloca al di sopra della ricchezza delle famiglie francesi, inglesi, canadesi e tedesche. È immaginabile che i possessori di auto di lusso (con costo maggiore di 120mila euro) siano molti ma molti di più rispetto a quelli che dichiarano un reddito di pari importo? Secondo l’ACI, che ha incrociato i modelli IRPEF e le immatricolazioni in Calabria, ad esempio, le supercar sono il triplo (6.000) rispetto ai residenti ricchi conosciuti dal fisco (2.000).

E allora che fare? Consigli per il governo che verrà… Prima di ridurre le tasse occorre trovare le idonee coperture evitando di andare a debito che è già a livelli di emergenza per cui occorrono delle precise azioni preliminari: a) autorizzare l’Agenzia delle Entrate (come peraltro accade in molti Paesi UE) a verificare i motivi per cui una persona che ha 30 e più anni, non ha mai presentato una dichiarazione dei redditi (semplice incrocio tra codice fiscale e dichiaranti); di cosa vive? C’è da scommettere che ne scopriremo di tutte, compresi gli affiliati alle 4 centrali mafiose. Meglio perseguitare costoro che quelli che fanno ogni anno la loro onesta dichiarazione sulla quale l’Agenzia poi fa le pulci. Con questa manovra è dunque probabile che il numero dei contribuenti aumenti in modo vertiginoso. b) Poiché è inutile e costoso aumentare il numero dei controllori, sarebbe bene un introdurre controlli incrociati tra possessori di beni di lusso, auto, case e così via, incompatibili con i redditi dichiarati; in Calabria sono già  4mila e in tutt’Italia? c) Se concediamo alle famiglie italiane di portare in detrazione, annualmente, il 50% delle spese per manutenzione della casa (lavori idraulici, elettrici, edili, tappezzerie, mobili), manutenzione di auto, moto e biciclette, piccoli aiuti domestici nei limiti di 5mila euro (aumentabili per famiglie con più di 3 componenti), avremmo 25 milioni di soggetti che imporrano agli irregolari (di cui peraltro, a differenza anche di molti Paesi africani, non sappiamo neppure il numero), ai lavoratori in nero e a quelli “grigi”, la fattura elettronica… e come premio avranno più di una quattordicesima mensilità (2.500 euro) che verrà finanziata non a deficit, ma da chi oggi le tasse non le paga con un vantaggio per lo Stato di oltre 24 miliardi l’anno strutturali, tale da sminare definitivamente l’aumento dell’Iva. d) E se proprio si vuole ulteriormente ridurre il carico fiscale delle famiglie basta aumentare il buono pasto, introdurre il buono trasporto (fanno in totale da 2,400 euro in su all’anno), agevolare l’ingresso nel lavoro autonomo oggi assai penalizzato, migliorare scuola e asili nidi con costi accessibili e deducibili al fine di aumentare il tasso di occupazione femminile e magari anche la fecondità nazionale. e) Infine, una revisione sostanziale di Quota 100 e reddito di cittadinanza e l’introduzione della Anagrafe nazionale dell’assistenza. 

Passare dallo storytelling alla realtà sarebbe già un passo sostanziale per il nostro Paese.

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

2/9/2019

 
 

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