Salvare il pianeta

Un continuo aumento della popolazione è compatibile con la tutela ambientale? Benvenute le iniziative a sostegno della famiglia ma un Paese che ha cura dei suoi giovani non può prescindere da una seria riflessione sullo sfruttamento delle risorse del pianeta e sui sempre più elevati livelli di debito pubblico

Alberto Brambilla

Salvare il pianeta e ridurre l'inquinamento sono ormai diventati un pensiero condiviso e una necessità non più rinviabile: la pandemia, le siccità, le inondazioni e le piogge torrenziali, solo per fare qualche esempio, sembrano un forte monito proveniente non dall’uomo, ma dalla natura. Parallelamente, il pensiero pare cambiare registro quando si affronta il tema demografico e, in particolare, il crollo delle nascite con la conseguente riduzione della popolazione residente.

La questione sembra particolarmente sentita in Italia dove da più parti, fortunatamente non tutte, si invoca la necessità di più immigrati, che fanno più figli, e di maggiore sostegno alla famiglia per incentivare la natalità. L’ultima proposta, come se nel Paese non si spendesse già un'enorme cifra in assistenza sociale (114 miliardi l’anno per la stragrande parte a sostegno diretto o indiretto delle famiglie), è stata approvata la legge che introduce “l’assegno unico universale per i figli” che, dal settimo mese di gravidanza ai 21 anni, prevede l’erogazione di un assegno anche per gli incapienti, senza alcuna presa in carico dei medesimi, così come accade per il reddito di cittadinanza, e senza uno straccio di banca dati dell’assistenza. Banca dati che da anni aspetta di essere realizzata, in grande ritardo rispetto a molti Paesi UE.

L’importo, basato sul solito ISEE, potrebbe essere pari a 80/100 euro al mese, più una parte variabile in funzione dei redditi - sull’esempio del bonus Renzi - di altri 130/150 euro al mese. Costo totale, considerando un assegno medio di 200 euro, quindi 2.400 euro l’anno per gli 11,6 milioni di potenziali beneficiari entro i 21 anni, senza considerare quelli in concepimento, pari a circa 28 miliardi l’anno. Certo, la cifra può diminuire: è infatti sufficiente non dare alcun assegno al 40% della popolazione che paga l’IRPEF e soprattutto a quel 13% che si sobbarca il 60% delle imposte o a circa il 38% che paga più del 90%, visto che il 60% dei potenziali beneficiari dell’AUUF paga circa il 9% dell’IRPEF e si suppone poco altro e pochi contributi.

E poi ci sono i costi per gli asili nido non solo per la costruzione, ma anche per il funzionamento, visto che oltre il 60% con l’ISEE sarà esentato, e i sussidi come bonus baby sitter e similari. Costi che si sommano al 56% della spesa per welfare che il nostro Paese spende ogni anno. Una cifra spaventosa che impedisce qualsiasi incentivo allo sviluppo (ricerca e investimenti in capitale), che spegne il futuro dei giovani e aumenta un debito pubblico sempre più insostenibile: debito che peraltro lasceremo sul “groppo” di quei giovani che a parole vorremmo aiutare in questa folle corsa al “metadone sociale dell’assistenzialismo” sostenuto da imprevidenti (?) politici.

Ma un continuo aumento della popolazione è compatibile con la cura e la tutela del pianeta? E poi l’invecchiamento da aumento dell’aspettativa di vita non è una bella notizia? Il 13 maggio in Italia si è raggiunto l'Overshoot Daycioè il giorno in cui si sono consumate tutte le risorse che la nostra Terra ci ha messo a disposizione: in altre parole, la "biocapacità” del pianeta, in questo caso della nostra Italia, di rigenerare risorse quali cibo, acqua, aria pulita, e così via, per ciascun abitante. Nel mondo l'Overshoot Day è stato lo scorso anno il 22 agosto, in ritardo rispetto al 2019, ma solo a causa della pandemia. Gran parte del problema - come sottolineato già nel lontano 1972 da Aurelio Peccei, fondatore nel 1968 del Club di Roma, nel rapporto sui limiti dello sviluppo (The Limits to Growth), basato su un modello matematico che prevedeva il trend mondiale per popolazione, produzione, cibo, inquinamento e risorse naturali - risiede nel fatto che “la crescita infinita in un pianeta dalle risorse finite non è possibile”, prevedendo “il collasso della civiltà moderna nel XXI secolo”. Ovviamente, la comunità scientifica internazionale rigettò le tesi sostenendo che il “modello World3 usato dal Club di Roma” non teneva conto dei benefici prodotti dallo sviluppo tecnologico, motore della crescita economica. E, invece, eccoci al XXI con ciò che era stato previsto da Peccei.

Gran parte dei problemi dipendono dalla esplosione demografica di questi ultimi 2 secoli e soprattutto dal "benessere" raggiunto, che costa molto in termini di risorse e inquinamento e che difficilmente potrà ridursi. Del resto, l'uomo ha impiegato centinaia di migliaia di anni per arrivare a poco più di 800 milioni di individui. nel 1800 eravamo circa 1 miliardi; nel 1918, ai tempi della "spagnola", eravamo 1,8 miliardi. In 103 anni siamo arrivati a quasi 7,7 miliardi e di questo passo, nel 2050 cioè domani, saremo oltre 9,7 miliardi. In Italia eravamo nel 1918 (la prendiamo corta) circa 39 milioni, nel 1950 47 milioni, dopo 50 anni 57 milioni (2001) e poco più di 60 oggi, con circa 7 milioni di stranieri compresi quelli che hanno ottenuto la cittadinanza italiana. Come si concilia la tutela dell'ambiente con una crescita illimitata della popolazione? Se già oggi abbiamo consumato tutte le risorse dell'anno per ciascun abitante come si concilia con l’esigenza di modificare un trend demografico disperandosi perché nascono pochi bambini?

In Africa tra Etiopia, Sudan e Egitto è già in corso la guerra dell'acqua. La Cina ha invaso e martirizzato il Tibet, nel silenzio assordante della politica e della Chiesa, per l'acqua. È chiaro a tutti coloro che, anziché programmare un’ordinata e organizzata transizione demografica, vorrebbero più abitanti, che nei prossimi decenni potrebbero svilupparsi guerre per le risorse naturali? E veniamo al nostro Paese. Quelli che lavorano sono 23 milion,  mentre quelli in età da lavoro sono oltre 36 milioni: abbiamo, per dirla con Carl Marx, un esercito industriale di riserva. E, infatti, siamo ultimi come tasso di occupazione in tutte le classifiche: totale, giovanile e femminile. Gli immigrati rappresentano più di un terzo delle famiglie povere, perché non hanno lavoro. E noi ne vorremmo di più? Considerando 400mila nascite l'anno e un flusso netto di un circa 100mila immigrati, in 20 anni (nel 2041) saremo 2 milioni in meno, con il 16% di stranieri e un'età media più alta ma con un fisico più resistente, tant'è che l'età di pensionamento arriverà a oltre 70 anni. Nei prossimi 20 anni andranno in pensione coorti di baby boomer, che verranno rimpiazzate da coorti meno numerose il che, secondo i dati della Rgs porterà il tasso di disoccupazione al 4%: ciò significa meno disoccupati e più redditi, maggior benessere e meno spese assistenziali, più figli e magari meno PIL, ma più felicità.

Detto ciò, tutte le iniziative per favorire la famiglia - che è il pilastro fondante della società di cui peraltro molti radical chic farebbero a meno - sono benvenute, come "Il Piano nazionale degli asili nido" o una defiscalizzazione vera per baby sitter e collaboratori familiari, mitigando d'altra parte soluzioni a debito come l'assegno unico. Nei prossimi 20 anni le generazioni con 65 anni e più trasferiranno ai loro figli e nipoti qualcosa come 3.600 miliardi di ricchezza netta e dal 2040 il tasso di natalità inizierà ad aumentare, seppure lentamente, iniziando così un nuovo ciclo.

Alberto BrambillaPresidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

21/6/2021

L'articolo è stato pubblicato su Il Messaggero del 9/6/2021
 
 
 

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