TFR, economia reale e politica industriale: qualche considerazione

Gli investimenti in economia reale da parte dei fondi pensione restano al momento piuttosto modesti: quali le possibili ragioni? Analisi e riflessioni del Prof. Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

Alberto Brambilla

Gli investimenti in “economia reale” dei fondi pensione complementari, nonostante le annose discussioni, come appare dai dati della Covip e dal Report sugli Investitori Istituzionali italiani di Itinerari Previdenziali, sono ancora modesti. Impressiona in particolar modo, ma lo avevamo evidenziato già nel lontano 1997 (prima edizione del manuale Capire i Fondi Pensione), l’esiguità degli investimenti dei fondi pensione di natura contrattuale nell’economia del nostro Paese; e pensare che sono in gran parte alimentati dal TFR, che è bene ricordare, rappresenta parte del “circolante interno” delle aziende ed è, quindi, la prima e principale forma di finanziamento delle aziende stesse e dell’economia reale.

Per inciso, tra gli investitori istituzionali italiani, sono le Fondazioni Bancarie, considerando la quota investita nella banca conferitaria, in CdP e Fondazione con il Sud, i maggiori investitori in economia reale con il 52,5%, seguite dalle Casse Privatizzate dei Liberi Professionisti con il 15,3%. Modesto il contributo offerto dai Fondi Pensione Negoziali e da quelli Preesistenti pari, rispettivamente, al 2,5% e al 2,3% del patrimonio destinato alle prestazioni, che ammonta a 45,93 e 55,1 miliardi.

Quando si parla di economia reale, cioè di come finanziare il sistema produttivo italiano al fine di migliorarne le performance in termini di sviluppo, produttività e occupazione, il primo pensiero va al TFR, che è certamente la forma (quand’anche a volte impropria) di finanziamento del sistema e in particolare delle PMI. Per favorire lo sviluppo della previdenza complementare senza tuttavia indebolire la struttura finanziaria soprattutto delle piccole-medie imprese, scrivendo il decreto legislativo n. 252/05, avevo previsto un fondo di garanzia per trasformare i flussi in uscita di TFR in un finanziamento stabile a 10 anni; infatti, già all’epoca, ci si preoccupava di proteggere le Micro e le PMI (che rappresentano circa il 94% del totale delle imprese) dal fatto che le banche erano molto generose con le grandi aziende, ma concedevano poco credito alle piccole.

Purtroppo, per ragioni ignote, il fondo è stato abolito dal Governo Prodi nel 2007 e da allora né politica né parti sociali se ne sono più occupati. Sfortuna vuole che di lì a poco partisse la grande crisi finanziaria con un credit crunch che, di fatto, ha impedito alle aziende con meno di 15 dipendenti l’accesso ai fondi pensione. È più che urgente un ripristino del fondo di garanzia, anche perché la gran parte degli oltre 6 milioni di lavoratori che operano in queste imprese, come si può vedere dai dati sul TFR, sono scoperti da qualsiasi protezione complementare anche per le difficoltà di queste piccole aziende di approvvigionarsi sul mercato del credito.

Ma a quanto ammonta il flusso annuo di TFR? Il flusso complessivo generato dal sistema nel 2016 (simile a tutti gli anni precedenti) è pari a 25,2 miliardi, di cui: 13,7 rimangono accantonati presso le imprese con meno di 50 dipendenti, 5,7 vanno in previdenza complementare e altri 5,8 al fondo di Garanzia gestito dall’INPS. Lo stock di TFR generato dal sistema produttivo italiano dal 2007 a oggi è pari a 50,477 miliardi  confluiti in previdenza complementare, 56,41 nel Fondo di Tesoreria gestito da Inps a seguito dell’improvvida modifica al 252/05 operata dal Governo Prodi e i restanti 136,15 miliardi restano accantonati presso le aziende. In totale, quindi, oltre 106 miliardi, pari al 6,4% del PIL, sono sottratti al sistema produttivo, per il quale rappresentano una vitale forma di finanziamento tanto più importante in tempi di restrizioni del credito; ma quanti ne tornano come finanziamenti?

Purtroppo, di questi 106 miliardi, tra fondi pensione negoziali e fondi pensione preesistenti solo 2,5 miliardi ritornano al sistema produttivo, cioè vengono reinvestiti in economia reale. In pratica, il sistema complementare reinveste TFR pari allo 0,15% del Pil, contro il 6,4% prelevato nel periodo, ma dove vanno questi quattrini? In prevalenza, finanziamo aziende e istituzioni straniere con oltre 6,25 punti di PIL complessivi, con un doppio danno per il Paese: da un lato, rendiamo meno competitive le nostre aziende e, dall’altro, diamo i mezzi finanziari a imprese estere per fare shopping di nostre eccellenze. È indispensabile quindi un ripensamento da parte del governo e delle parti sociali: prima ancora di parlare di «nuovi veicoli d’investimento», peraltro abbastanza scarsi nel nostro Paese, è bene che si provveda a risolvere questa annosa questione, anche perché è l’unica modalità per indirizzare le risorse a nostre imprese in quanto qualsiasi forma di incentivazione, per le norme della UE, non potrebbe che includere anche gli investimenti in tutti i Paesi dell’Unione.

Fatto questo, si dovrà ripensare la politica di incentivazione fiscale, fin qui molto confusa, che non potrà prescindere da una riduzione del carico fiscale sui rendimenti dei patrimoni di Fondi e Casse, aumentati assurdamente dai governi degli ultimi anni. Nel contempo, si è verificato un paradosso tutto italiano: mentre si aumentava la tassazione alle forme previdenziali obbligatorie e complementari, si concedeva un vantaggio enorme ai PIR (piani di risparmio individuali) con esenzione fiscale sui rendimenti ottenuti da questi strumenti per un importo di 30.000 euro annui e un massimo di 150.000 euro in 5 anni per investitore, con l’unico vincolo di tenere l’investimento per almeno 5 anni. Ora, va benissimo introdurre piani di risparmio, ma privilegiarli rispetto ai fondi pensione che, invece, non si possono disinvestire fino alla maturazione dei requisiti pensionistici (anche 30 anni) e che garantiscono i lavoratori dalla inevitabile riduzione delle prestazioni pubbliche, è paradossale e denota una totale insipienza della classe politica. Il silenzio delle parti sociali è stato assordante!

TFR e investimenti in economia reale

Fonte: Quarto Report sugli Investitori Istituzionali italiani Itinerari Previdenziali

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

19/03/2018

 
 

Ti potrebbe interessare anche