COVID-19 e occupazione: a marzo i primi segnali, ma nei prossimi mesi sarà una frana!

All'apparenza, le pur scarne rilevazioni Istat sull'occupazione nel mese di marzo sono sì negative ma non drammatiche. Eppure, a ben guardare, i dati lasciano intuire scenari davvero difficili per i prossimi mesi: senza liquidità immediata alle imprese, finita la cassa integrazione, la disoccupazione rischia infatti livelli catastrofici 

Claudio Negro

Molto scarni i dati ISTAT sull'occupazione riferiti al mese di marzo, ma significativi perché affrontano il primo mese di lockdown. La prima cosa da notare è che i numeri, a prima vista, sembrano sì negativi ma non drammatici. Ma, come ammonivano i classici, venenum in cauda: vediamoli bene infatti. Premettiamo che i dati significativi sono quelli relativi al mese di marzo, sia quelli congiunturali (rispetto a febbraio) sia, anche se meno, quelli tendenziali (rispetto a marzo 2019). Le rilevazioni trimestrali saranno coerenti con quelle citate perché incorporano marzo 2020, ma risultano più “diluite” e quindi meno significative. 

Dunuqe, gli occupati di marzo sono 29.000 meno del mese precedente (-0,1%) e 121.000 meno di marzo 2019 (-0,5%). Questo secondo dato incorpora una piccola flessione nel numero di occupati che era già iniziata a dicembre 2019. Numeri, come si vede, non drammatici per l'appunto. Ma vi si può rilevare un'anomalia: i posti di lavoro persi a marzo rispetto a febbraio sono per due terzi femminili e per un terzo maschile. Vale a dire che a marzo le donne hanno perso il lavoro in misura doppia rispetto ai maschi; tendenza insolita se si considera che, negli ultimi tempi, ci eravamo abituati a un'occupazione femminile che cresceva più di quella maschile. E infatti il dato tendenziale non è così squilibrato: l'occupazione femminile scende dello 0,6% e quella maschile dello 0,4%, e, com'è evidente, se non ci fosse stato lo squilibratissimo dato di marzo più o meno sarebbero a pari. Tutto ciò è il segnale, piccolo ma chiarissimo, che è iniziata non una flessione ciclica ma una crisi occupazionale vera, in cui le aziende cominciano ad alleggerirsi della forza lavoro meno essenziale: basse professionalità, part-timer, tempi determinati, che più spesso sono donne. E comunque, per lieve che sia la flessione, gli occupati sono 23.234.000, il dato più basso da febbraio 2019.

Un altro dato che indica una decisa inversione di tendenza è quello relativo alla partecipazione al mercato del lavoro, ossia la somma degli occupati e di chi cerca occupazione: gli inattivi, cioè chi nella fascia di età 15-64 non partecipa al mercato del lavoro, sono cresciuti rispetto a febbraio di 301.000 unità (+2,3%) per un tasso del 35,7%, mai più toccato dal 2016. Significa che improvvisamente centinaia di migliaia di persone han perduto la fiducia di poter trovare un'occupazione: il senso comune registra la profondità della crisi prima ancora degli indicatori econometrici! Da notare che il drastico calo di persone in cerca di lavoro ha paradossalmente determinato un deciso ribasso del tasso di disoccupazione: 8,4%, un dato così basso che non si vedeva da oltre 10 anni. Ma si tratta di una semplice illusione ottica dovuta a un effetto statistico tanto che, in realtà - come detto - l'occupazione cala: 58,8% rispetto al 59,2% di novembre 2019.

Ma una prospettiva più profonda della crisi si può ricavare dai freschissimi dati INPS sulla Cassa Integrazione, aggiornati al 29 aprile: i lavoratori interessati da Cassa Integrazione Ordinaria (la Straordinaria per ovvi motivi non riguarda la crisi da lockdown) sono 5.086.000, cui si aggiungono quelli che percepiscono l'Assegno Ordinario (il corrispondente della CIG per le aziende che hanno costituto fondi di solidarietà), per un totale di 7.903.000. Ci sono poi le Casse Integrazioni in Deroga per le aziende che non hanno né l'uno né l'altro ammortizzatore, che non possono ancora essere quantificate con precisione perchè il loro iter autorizzativo passa per le regioni: per ora le domande decretate dalle Regioni sono 140.000, per un numero di dipendenti che dovrebbe superare i 500.000. Si tratta in totale di circa 8.500.000 lavoratori sospesi interamente o parzialmente dal lavoro: il 45% di tutti i lavoratori dipendenti! Nel comparto turismo-ristorazione la percentuale tocca l'85%, nei tessili il 96%, nella filiera dell'automotive il 93%, ecc. (dati INAPP).

Nelle rilevazioni sull'occupazione dell'ISTAT non c'è riflesso di questo dato, perché i lavoratori in CIG non risultano disoccupati e, per ancora qualche mese lo Stato, grazie anche al fondo SURE dell'UE, riuscirà a mantenerli in questo limbo statistico. Ma già nelle prossime settimane, via via che i contratti a termine scadranno e non verranno rinnovati, anche dal punto di vista della pura statistica il dato occupazionale calerà più velocemente. 

È un esercizio acrobatico, con i dati di cui si disponde adesso, tentare previsioni su quale sarà alla fine del lockdown lo stato del mercato del lavoro. Quel che è certo è che più a lungo durerà il fermo delle imprese, più profonda sarà la ferita che lascerà. Fatte salve le necessarie misure di sicurezza, la priorità per il governo in questo momento deve essere erogare in tempi rapidissimi liquidità alle aziende, soprattutto le più piccole, per evitarne la necrosi e la morte.

Claudio Negro, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali e Fondazione Anna Kuliscioff 

1/5/2020 

 
 

Ti potrebbe interessare anche