COVID-19 e occupazione, i dati Istat confermano la dimensione del problema

I dati provvisori Istat sull'andamento del mercato del lavoro ad aprile accendono i riflettori sulla crisi occupazionale con cui l'Italia avrà a che fare nel post COVID-19: il calo degli occupati colpisce in modo abbastanza uniforme tutte le classi di età, ma con un picco nella fascia tra i 25 e i 34 anni, in cui sono più numerosi rapporti di lavoro a termine, somministrati o intermittenti 

Claudio Negro

Le rilevazioni statistiche Istat sull'occupazione riferiti al mese di aprile danno, ben più di quelli di marzo, un'immagine di come il mercato del lavoro stia subendo la crisi sanitaria. I numeri dell'occupazione flettono in maniera decisa, -1,2% rispetto a marzo. Il dato del trimestre febbraio-aprile rispetto a quello precedente è pari a -1%: è evidente l'accelerazione della perdita di occupazione nell'ultimo mese. Rispetto ad aprile 2019 siamo a meno 2,1%. In valori assoluti gli occupati sono 274.000 in meno nel confronto con marzo, e ben 497.000 rispetto a 12 mesi fa. 

Queste cifre diventano ancora più significative se scomposte per tipologia occupazionale: rispetto a marzo calano dello 0,5% i lavoratori stabili, ma ben del 4,6% i tempi determinati e dell'1,3% gli autonomi. Rispetto a 12 mesi fa i tempi determinati cadono addirittura del 15%: come previsto, i contratti a termine costituiscono il “polmone” con cui le imprese gestiscono in prima battuta l'eccedenza di mano d'opera. Tuttavia, nel mese di aprile, i lavoratori per i quali è stata richiesta la Cassa Integrazione con motivazione COVID sono stati 7.300.000, circa il 40% dei lavoratori dipendenti: Cassa Integrazione che, per l'appunto, copre (o dilaziona) i rapporti di lavoro che cesseranno quando la copertura di CIG non ci sarà più e sarà scaduto il divieto di licenziamento stabilito dai DPCM.

Un'idea di quella che potrebbe essere l'eccedenza di mano d'opera nei prossimi mesi può fornirla un altro dato: le ore lavorate complessive rispetto a 12 mesi fa sono diminuite dell'11,6%. Il che indica, seppure grossolanamente, un eccesso di forza lavoro che si aggira attorno al 10%, ossia circa 2.300.000 occupati tra dipendenti e autonomi. Naturalmente la ripresa - di cui ci si evidenziano già alcuni sintomi (Purchising Manager Index, uno dei più affidabili indicatori delle previsioni dei manager, è salito da 12 di aprile a 30 di maggio) - recupererà almeno una parte di questa eccedenza, ma la perdita di occupazione nei prossimi mesi sarà imponente e a pagarne lo scotto saranno innanzituttl le fasce più deboli (e, quindi, meno essenziali): lavoratori a termine e occupati a bassa professionalità, soprattutto nei settori più colpiti dalla crisi sanitaria, come commercio al dettaglio, turismo, ristorazione. Un problema che implica due risposte: sul piano del sostegno alla liquidità e alla capitalizzazione di imprese che, altrimenti, chiudono e sul piano del sostegno temporaneo al reddito e delle politiche finalizzate alla ricollocazione dei lavoratori che, alla fine, risulteranno in eccesso. Obiettivo, quest'ultimo, al quale finora molta poca attenzione è stata prestata!

Alcune ulteriori considerazioni sul report Istat. Il dato sulla disoccupazione potrebbe sembrare brillante: solo 6,3%, ossia -1,7% rispetto al mese precedente e addirittura -3,9% rispetto a 12 mesi fa. Si tratta del solito effetto ottico connesso a questo dato, che va sempre letto insieme al tasso di attività (quante persone cercano lavoro): purtroppo, il numero di persone che non sono attive sul mercato del lavoro - non cercano occupazione - è cresciuto del 2% dal mese di marzo e del 4% rispetto ad aprile 2019. Vale a dire che, poiché meno persone cercano lavoro, diminuisce l'incidenza di chi il lavoro non trova. Molto più preciso statisticamente e significativo il tasso d'occupazione, ossia la fotografia di quante persone lavorano rispetto alla platea dei lavoratori potenziali: questo valore è ad aprile del 57,9%, -0,7% rispetto a marzo e -1,1% rispetto a 12 mesi fa.

Un'ultima annotazione riguarda infine il fatto che il calo degli occupati colpisce in modo abbastanza uniforme tutte le classi di età, ma con un picco (meno 4,4%; dato al netto della variazione demografica) nella fascia tra i 15 e 34 anni, cioè quella in cui più numerosi sono i rapporti di lavoro a termine, somministrati o intermittenti. Al tale proposito va allora notato come siano circa 700.000 i contratti di lavoro stagionali connessi al periodo delle ferie estive che, in grandissima parte, rischiano di non essere attivati. 

Claudio Negro, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali e Fondazione Anna Kuliscioff 

4/6/2020 

 
 

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