I "rischi del mestiere"? Sicurezza sul lavoro, infortuni e malattie professionali

Nei primi 8 mesi dell'anno sono stati denunciati all'Inail 685 infortuni con esito mortale: l'impianto normativo per promuovere salute e sicurezza sul lavoro c'è, ma troppo spesso resta soffocato da adempimenti burocratici cui soprattutto le PMI faticano a far fronte

Mara Guarino

Secondo i dati Inail aggiornati allo scorso agosto, a partire dall’inizio dell’anno le denunce di infortunio sul lavoro con esito mortale sono state 685. Vale a dire 28 in meno rispetto allo stesso periodo del 2018 – vero annus horribilis della sicurezza sul lavoro, con il +10,1% di incidenti mortali rispetto al 2017 – e soprattutto numero in (apparente) controtendenza rispetto a quanto registrano nei primi 7 mesi dell’anno, quando il bilancio era invece strettamente a sfavore del 2019, che faceva segnare circa il 2% di incidenti mortali in più rispetto all’analogo lasso temporale riferito al 2018.

Un calo che, comunque, non ha nulla di incoraggiante, come ben sottolineato anche dallo stesso Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro che, nella sua nota, spiega infatti come la diminuzione sia in realtà soprattutto legata ai cosiddetti “incidenti plurimi” (definizione con cui si indicano eventi che provocano la morte di almeno due lavoratori). Se infatti tra il gennaio e l’agosto 2019 son stati 15, prevalentemente su strada e per un totale di 30 vittime, nei 15 incidenti plurimi dei primi otto mesi dello scorso anno hanno perso la vita ben 61 persone: la metà dei decessi era avvenuta peraltro proprio nel mese di agosto, nel corso alcuni eventi tristemente balzati agli onori delle cronache, i due incidenti stradali di Lesina e Foggia, nei quali sono rimasti coinvolti 16 braccianti, e il crollo del Ponte Morandi di Genova, con 15 casi mortali denunciati all’Inail.

E non va molto meglio neppure sul versante delle malattie professionali e degli infortuni sul lavoro con esito non mortale. Le denunce di malattia professionale protocollate dall’Inail nei primi otto mesi del 2019 sono state 41.032, 813 in più rispetto allo stesso periodo del 2018 (+2,0%); per quanto riguarda invece gli infortuni, tra l’anno scorso e quello in corso si registra un sostanziale pareggio. Più precisamente, i dati rilevati al 31 agosto evidenziano a livello nazionale un decremento dei casi avvenuti in occasione di lavoro, passati da 357.737 a 353.316 (-1,2%), e un incremento del 4,6%, da 60.798 a 63.578, di quelli in itinere, cioè occorsi durante il tragitto casa-lavoro. A proposito dei quali va comunque considerata sia la continua evoluzione dell’interpretazione della legislazione di riferimento, nell’ottica di una maggiore attenzione alla qualità della vita del lavoratore, sia la difficoltà di porre sotto controllo tutti i fattori di rischio i quali spesso esulano dall’ambito della sicurezza sul luogo del lavoro in senso stretto (si pensi ad esempio allo stato delle infrastrutture o alla possibilità di condizioni metereologiche avverse).

Sebbene con incidenze spesso significativamente diverse, il fenomeno può poi in una certa misura ritenersi trasversale, coinvolgendo tanto il settore dell’agricoltura quanto quello dell’industria e dei servizi, lavoratori comunitari ed extracomunitari di varie fasce di età e di entrambi i sessi (627 i casi mortali tra gli uomini a fine agosto 2019, 58 per le donne). Anche la distribuzione geografica è relativamente eterogenea, in assoluto e nel confronto con il 2018: dall’analisi territoriale si osserva una diminuzione delle denunce di infortuni con esito mortale solo nel Nord-Ovest (da 195 a 174) e nel Nord-Est (da 182 a 159); trend opposto per il Centro (da 129 a 141) e per le Isole (da 56 a 60), mentre resta sostanzialmente stabile il Sud, con 151 casi in entrambi i periodi di osservazione.

Nonostante gli interventi legislativi sul tema non manchino – non ultima ma di estremo rilievo, si segnala in particola modo l’introduzione del Testo Unicoin Italia si continua dunque a morire di lavoro e per il lavoro, ragione per la quale salute e sicurezza dovrebbero tornare o diventare (a seconda dei punti di vista) temi all’ordine del giorno di un dibattito mediatico e politico troppo spesso sclerotizzato  sui pur essenziali temi dei livelli di occupazione dell’adeguatezza salariale.

Ma quali gli ambiti concreti di intervento? La normativa appunto non manca ma, a distanza di 11 anni dal Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro, risulta essere ancora spesso poco diffusa (e poco applicata) in particolar modo nelle PMI che, in molti casi, faticano a districarsi tra gli adempimenti necessari o a portarli a termine senza l’aiuto di un professionista del settore, a propria volta spesso percepito come un onere poco in linea con costi ed esigenze delle realtà aziendali di dimensioni più ridotte. Un punto, quest’ultimo, recentemente sollevato anche da Marina Calderone in un articolo di Isidoro Trovato per il “Corriere della Sera, L’Economia”: secondo la presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, gli obblighi di legge oggi previsti, non solo numerosi ma talvolta anche farraginosi, sarebbero in effetti l’emblema di un impianto normativo pensato innanzitutto per le grandi aziende.

E, verrebbe dunque da aggiungere, forse allora troppo distante dall’effettiva realtà di un Paese costellato di piccole e medie imprese. Di qui, la necessità di una semplificazione della burocrazia sottostante la salute e la sicurezza sul luogo del lavoro, da non confondersi tuttavia con un eccessivo lassismo. Al contrario, si tratterebbe di abbandonare parte dei formalismi ora previsti in favore di un impegno più concreto a promuovere la cultura della sicurezza sul lavoro, passando solo allora, se necessario, anche da un inasprimento delle sanzioni a carico degli inadempienti.

Mara Guarino, Itinerari Previdenziali 

17/10/2019

 
 
 

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