Il coronavirus cambierà il nostro modo di lavorare?

L'obbligo di restare a casa ha costretto gran parte dei lavoratori italiani a lavorare lontano dall'ufficio: un vantaggio per le aziende che già permettevano lo smart working ai propri dipendenti, un'occasione per quelle realtà che lo avevano finora visto con diffidenza. L'emergenza sarà propedeutica allo sviluppo del lavoro agile?

Giovanni Gazzoli

È opinione diffusa che tutte le situazioni, anche le più negative, possano essere occasione per scoprire qualcosa di buono. Con il dovuto rispetto di una situazione difficile per tutto il Paese, si può dire che il divieto di uscire di casa per gran parte della popolazione italiana abbia definitivamente sdoganato una misura che fino a ora era stata perlopiù affare delle grandi aziende, spesso multinazionali portatrici di una cultura estera più avvezza a tale pratica: lo smart working.

L’emergenza sanitaria che ci obbliga a restare in casa potrebbe comportare la diffusione di una piena consapevolezza delle modalità e delle potenzialità di questa modalità lavorativa. Certo, come forse impropriamente sta accadendo in questi giorni, non ci si però deve fermare all’identificazione del cosiddetto lavoro agile con il telelavoro: quest’ultimo non è altro che la possibilità di lavorare da remoto, in una sede differente da quella “centrale”, mantenendo tuttavia una certa rigidità nella forma e nel contenuto; caratteristiche superate appunto dallo smart working, che introduce una vera e propria rivoluzione nella gestione di strumenti, spazi e orari.

Ebbene, il fatto che l’impossibilità di essere “in ufficio” non sia ostacolo - ma anzi si riveli risorsa per non interrompere l’attività lavorativa - può scardinare soprattutto le resistenze culturali al superamento della tradizionale visione dell’attività lavorativa, soprattutto nelle realtà più piccole. Se, infatti, l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano ci dice che nel 2019 gli smart worker sono aumentati del 20% dal 2018 al 2019 (da 480.000 a 570.000), evidenzia allo stesso tempo come il trend sia dovuto soprattutto alle grandi aziende, di cui il 90% già lo pratica o prevede nel breve/medio periodo di introdurlo, mentre addirittura il 51% delle PMI si dichiarava  al momento dell'indagine disinteressato.

Del resto, il governo stesso ha caldeggiato il ricorso allo smart working nel decreto dello scorso 1 marzo, stabilendo "che la modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, può essere applicata, per la durata dello stato di emergenza di cui alla deliberazione del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020, dai datori di lavoro a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti": un intervento molto apprezzato dagli addetti ai lavori, perché ha permesso di agevolare i passaggi burocratici normalmente necessari all’implementazione di questa misura.

Questo passaggio tuttavia sottolinea anche come, al di là della situazione emergenziale dettata dalla COVID-19, non possa essere sufficiente un provvedimento calato dall'alto per una crescita del lavoro agile, ma siano necessari – soprattutto, come visto, per coinvolgere le PMI – strumenti e misure che creino consapevolezza e fiducia, anche grazie all’adeguamento di norme e pratiche alle caratteristiche e alle necessità delle piccole e medie imprese. Il che implica soprattutto il supporto a investimenti in tecnologie digitali, una delle maggiori barriere alla diffusione dello smart working in queste realtà.

Del resto, la tecnologia è la chiave di un efficace ed efficiente smart working. È infatti cruciale per una corretta comunicazione all’interno del team: si sono visti in questi giorni diversi problemi legati alla disponibilità di connessioni adeguate all'organizzazione di videoconferenze. È poi funzionale alla sicurezza dei dati dell’azienda, che sono messi più a rischio in un accesso da remoto, con inevitabili conseguenze sulla formazione dei dipendenti che dovrebbero essere adeguatamente preparati anche alla gestione di questo aspetto. Infine, ha a che fare con gli strumenti di lavoro o l’organizzazione degli spazi. Non è un caso che Context abbia rilevato una crescita esponenziale della domanda di strumenti per lo smart working e per le attività didattiche a distanza (ricordiamo che anche scuole e università devono fare i conti con questa situazione): un aumento del 362% per cuffie e microfoni, del 36,5% per computer portatili, dell’89,3% per strumenti di sviluppo di software, del 38,8% per software per la sicurezza.

È evidente insomma come in questa situazione di emergenza, il lavoro agile abbia dimostrato tutti i suoi pregi, soprattutto in potenza: è però necessario che, a emergenza ultimata, venga ulteriormente sostenuto nella sua diffusione, per non esasperarne i difetti. 

Giovanni Gazzoli, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

18/3/2020

 
 
 

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