Il lavoro agile per il settore pubblico e privato: scenari e prospettive

I recenti sviluppi normativi hanno indubbiamente favorito la diffusione di soluzioni di lavoro agile, con ritmi però molto diversi a seconda del comparto: mentre sul fronte pubblico, sembra prevalere una certa tendenza a introdurre lo smart working come mero adempimento, su quello privato pesano ancora molto le dimensioni aziendali 

Elena Barazzetta

In Italia nel 2017 ci sono stati, a livello normativo, sviluppi significativi sul fronte della regolazione del lavoro agile (1) sia nell’ambito privato, sia in quello pubblico (rispettivamente con l’approvazione della Legge 81/2017 e l’emanazione della Direttiva n. 3/2017 in materia di lavoro agile all’interno della Riforma della PA). Sono state così gettate le basi per una potenziale significativa diffusione di modalità di lavoro flessibile nel nostro Paese, in linea con quanto espresso dal Parlamento europeo nella risoluzione del 13 settembre 2016 (principio generale n. 48) (2) .

Va certamente sottolineato che, anche prima dell’approvazione della normativa, era possibile definire modalità di lavoro flessibile mediante soluzioni assicurative che tutelassero il lavoratore al di fuori degli spazi aziendali, ma la legge, fornendo delle linee operative, ha incoraggiato coloro che, anche per timore di sanzioni, agiscono prevalentemente all’interno di una cornice normativa ben definita.

 

Smart working strumento di innovazione organizzativa

La proposta di legge contenente «Norme finalizzate alla promozione di forme flessibili e semplificate di telelavoro» venne depositata nel gennaio 2014. A distanza di tre anni, il lavoro agile è diventato legge all’interno del Decreto sul lavoro autonomo. La Legge 81/2017 definisce infatti lo smart working come una «modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa». Se da un lato il fatto di essere stato inserito in una misura di legge destinata al lavoro autonomo ha suscitato non poche preoccupazioni in chi ha visto nello smart working il primo passo di un percorso destinato a destrutturare le tutele caratterizzanti il rapporto di lavoro subordinato, dall’altro il lavoro agile è talvolta ridotto ad un semplice strumento di conciliazione vita-lavoro (quest’ultima è invece un esito della flessibilità dei tempi che il lavoro agile genera) e a una duplicazione del telelavoro (3), non cogliendone così la portata innovativa che lo caratterizza.

Lo smart working è invece uno strumento che, se utilizzato propriamente, diventa leva per innovare i processi organizzativi aziendali (sia nei contesti privati sia pubblici) e le relazioni tra i soggetti coinvolti. Il lavoro agile richiede innanzitutto un livello di responsabilizzazione e di fiducia tra management e collaboratori, si introduce infatti il concetto di lavoro per obiettivi che necessita, da una parte, della capacità di misurare i risultati ottenuti e, dall’altra, di sviluppare un grado di autonomia e responsabilizzazione necessari a garantire l’efficacia del lavoro a distanza (per il pubblico anche in termini di qualità dei servizi erogati ai cittadini). L’innovazione passa anche da un nuovo modo di utilizzare gli spazi aziendali, in termini di una possibile ottimizzazione che garantisca però l’adeguatezza rispetto alla tipologia di lavoro richiesta, e alla tecnologia che dovrà essere idonea a sostenere attività svolte a distanza.

Si tratta dunque di un cambiamento strutturale che richiede di essere governato in tutti i suoi passaggi – è imprescindibile un’adeguata fase di formazione e comunicazione – e che tenga conto della capacità e volontà di rinnovamento di tutti gli interlocutori (non può diventare, ad esempio, strumento penalizzante le fasce di età più elevata e generalmente più restie al cambiamento).

 

I contenuti della normativa

Per comprendere al meglio lo strumento è utile soffermarsi sui contenuti della Legge 81 che ne stabilisce le modalità di attuazione, la forma che deve assumere l’accordo tra le parti, cosa questo debba disciplinare, la retribuzione del lavoratore e infine la questione relativa a salute e sicurezza che tanto ha suscitato preoccupazione nei datori di lavoro. È rilevante che lo smart working non sia stato concepito come tipologia contrattuale, evitando così una rigidità legislativa che ne avrebbe compromesso il principio fondante di flessibilità.

L’accordo con il quale il lavoratore passa alla “modalità smart” – risolvibile unilateralmente da entrambe le parti previo preavviso – deve essere stipulato per iscritto specificando i tempi di lavoro e di riposo e il diritto alla disconnessione dalla strumentazione tecnologica lavorativa. Allo smart worker spettano una retribuzione e un trattamento normativo conformi a quanto stabilito dal contratto collettivo; restano applicabili eventuali incentivi fiscali e contributivi in relazione agli incrementi di produttività ed efficienza del lavoro subordinato. Al fine di garantire il diritto del lavoratore alla tutela contro infortuni e malattie professionali, il datore di lavoro è responsabile della sicurezza (Circolare Inail n. 48/2017) e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell’attività lavorativa.

Sul fronte dell’introduzione del lavoro agile nella pubblica amministrazione, la Legge 81 dichiara che le disposizioni, così come appena descritte, si applicano anche nei rapporti di lavoro del settore pubblico. L’adozione del lavoro agile nelle PA è stata esplicitata nella Direttiva 3/2017 che ha previsto l’introduzione di misure flessibili nelle organizzazioni pubbliche, tra cui il lavoro agile per almeno il 10% dei dipendenti entro il 2018. Se la Legge 81/2017 ha per prima normato il lavoro agile, definendone gli aspetti organizzativi e operativi necessari per la sua implementazione, la Riforma del Pubblico Impiego ha sottolineato gli obiettivi che con questo istituto si intendono raggiungere nel settore pubblico, attraverso una conferma delle finalità indicate nell’art. 14 della Legge 124/2015: diffondere nelle PA un nuovo modello culturale di organizzazione del lavoro più funzionale, flessibile e capace di rispondere agli indirizzi di policy e alle esigenze di innalzamento della qualità dei servizi, aumentare efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa, favorire la conciliazione vita-lavoro del personale. Fulcro della riforma è il monitoraggio della sperimentazione, finalizzato a rilevare l’effettivo incremento di produttività. 

 

La diffusione dello smart working in Italia

Il valore della Legge 81/2017 sta nell’aver fatto ordine in un contesto di incertezze normative che caratterizzava negli anni precedenti le esperienze di smart working, numerose ed esemplari, soprattutto tra grandi aziende private (4) (Barazzetta 2017). A dimostrazione di ciò, nell’anno di approvazione della legge, il 36% delle grandi aziende appartenenti al campione di ricerca dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano (5) avevano già iniziative strutturate di lavoro agile (Osservatorio Smart Working 2017). Indubbiamente gioca un ruolo fondamentale, in questa tendenza innovativa dell’ambito delle grandi aziende, il fatto di essere spesso multinazionali che sottostanno a policy di organizzazione aziendale estere molto avanzate.

Anche la PA, seppur con numeri molto inferiori, vanta casi di eccellenza che, già da qualche anno, hanno lavorato sull’efficientizzazione del servizio pubblico attraverso modalità di lavoro flessibile (6). Negli ultimi mesi sono stati attivati anche progetti di rete tra PA. Il progetto VeLA – Veloce, Leggero, Agile: Smart Working per la PA offre alle PA aderenti un “kit di riuso”: un trasferimento della buona pratica di lavoro agile TelePAT 2.0, sperimentata con successo dalla Provincia Autonoma di Trento (7). Il progetto pilota del Dipartimento per le pari opportunità (DPO) Lavoro agile per il futuro della PA. Pratiche innovative per la conciliazione vita-lavoro è invece un’azione di sistema sull’intero territorio nazionale – che coinvolge PA candidatesi tramite manifestazione di interesse – finalizzata alla definizione di metodologie e strumenti per l’introduzione e la sperimentazione di percorsi di lavoro agile, alla realizzazione di azioni di comunicazione e sensibilizzazione. Con l’obiettivo di agire in maniera specifica sul fronte culturale, il progetto prevede giornate dedicate al lavoro agile, sul modello di quanto realizzato dal Comune di Milano a partire dal 2014; la prima si è tenuta il 13 dicembre scorso a Roma (8).

L’Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano il 30 ottobre 2018 ha presentato i dati della ricerca annuale sulla diffusione dello smart working nel nostro Paese (Osservatorio Smart Working 2018). A un anno dall’approvazione della legge sul lavoro agile, la ricerca ha rilevato alcuni dati significativi: ci sono oggi 480mila smart worker in Italia (in crescita del 20% dall’anno precedente) e il 56% delle grandi imprese del campione analizzato ha a regime modalità strutturate di smart working (contro il 36% dell’anno precedente). Nelle PA c’è un lieve aumento dei progetti strutturati, dal 5% all’8%. Seppur si tratti di un aumento del 60%, se si considera l’obbligo di introduzione del lavoro agile previsto dalla riforma del Pubblico Impiego, il dato resta ancora molto basso; è rilevante in tal senso che la percentuale di chi si dichiara incerto sia salita dal 20 al 38%.

I dati più critici riguardano le PMI tra cui prevalgono iniziative informali, 16%, mentre quelle strutturate passano dal 7 all’8%. È significativo che la quota più consistente di risposte, il 38%, esprime disinteresse (nel 2017 era il 40%). Tenendo conto che le PMI costituiscono la quasi totalità del tessuto produttivo italiano, i dati sembrano dimostrare che lo smart working troverà con fatica terreno fertile nel nostro Paese.

 

Smart working: un tema aperto

La normativa non prevede incentivi per l’introduzione dello smart working e, nel caso delle PA, seppur ne sia stato introdotto l’obbligo di implementazione, non ci sono sanzioni nel caso di mancata attuazione. Questi elementi in parte spiegano i dati appena presentati e possono favorire la tendenza ad introdurre il lavoro agile come mero adempimento, sul fronte pubblico, o come moda utile al branding aziendale e sul fronte privato, senza che dello strumento ne venga fatto un uso propriamente adeguato. A un anno dall’approvazione della legge, quello che è emerso indistintamente nel comparto privato e pubblico, è una difficoltà legata alle modalità di comunicazione degli accordi individuali al Ministero del Lavoro e all’Inail. Se infatti la normativa è riuscita a mantenere una certa flessibilità, è stato nella fase di definizione delle procedure burocratiche che è emersa una rigidità che appesantisce l’intero processo.

Da ultimo si segnala che nel Decreto Concretezza approvato dal Consiglio dei Ministri nel mese di ottobre 2018 – che contiene una serie di norme volte a incrementare l’efficienza delle singole amministrazioni pubbliche – è previsto nell’art. 2 che «i dirigenti delle amministrazioni […] adeguano la propria prestazione lavorativa nella sede di lavoro alle esigenze dell’organizzazione e dell’incarico dirigenziale svolto, nonché a quelle connesse con la corretta gestione e il necessario coordinamento delle risorse umane». Questo articolo sta allarmando le organizzazioni pubbliche perché sembra andare nella direzione opposta rispetto alla spinta voluta dalla Riforma del Pubblico Impiego sulla diffusione del lavoro agile.

Concludendo, possiamo rilevare che la normativa ha senza dubbio accelerato un processo di cambiamento dei rapporti lavorativi già in atto, che procede però a velocità diverse a seconda del comparto e della dimensione aziendale; inoltre, non mancano ostacoli legati alla sua applicazione operativa e si intravede il rischio di una mancata coerenza rispetto ad altre iniziative di governo: due aspetti che rischiano di limitarne lo slancio innovativo.

Elena Barazzetta, ricercatrice Percorsi di Secondo Welfare 

27/2/2019

Note

(1) Nel presente lavoro i termini lavoro agile, lavoro flessibile e smart working vengono utilizzati come sinonimi.

(2) La risoluzione sottolinea l’importanza del lavoro agile come strumento per favorire un miglior benessere sociale, una maggiore conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e un rilancio demografico.

(3) Il telelavoro è strettamente legato al tema della postazione fissa, generalmente domestica, e risponde, in prevalenza, alle esigenze di conciliazione del lavoratore, prevedendo la possibilità di effettuare la maggior parte della prestazione lavorativa da casa.

(4) Si citano, a titolo di esempio, Microsoft, Nestlè, Tetra Pak, Intesa San Paolo, Ubi Banca, Barilla.

(5) L’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano monitora dal 2011 l’evoluzione dello smart working in Italia pubblicando annualmente un rapporto di ricerca che ha per oggetto un campione composto da grandi, medie e piccole aziende e le Pubbliche Amministrazioni.

(6) È il caso, fra gli altri, del Comune di Torino che, tra le altre iniziative, con il progetto EdiliziAgile permette dal 2016 ai dipendenti dei servizi nell’area Edilizia Privata di lavorare con l’utenza da luoghi diversi dal proprio ufficio fino a 15 ore a settimana (si veda: http://www.comune.torino.it/smartworking/, ultimo accesso 13 novembre 2018).

(7) L’azione è stata elaborata nel 2017 dalla Regione Emilia-Romagna in partnership con le Regioni Friuli-Venezia-Giulia, Lazio, Piemonte, Veneto, la Città Metropolitana e il Comune di Bologna, l’Unione Territoriale delle Valli e Dolomiti Friulane. Il progetto TelePAT 2.0 cui si fa riferimento, avviato nel Il lavoro agile per il settore pubblico e privato: scenari e prospettive Elena Barazzetta 30 31 2015, ha introdotto differenti tipologie di lavoro a distanza utilizzabili per un massimo di 3 giornate al mese, anche frazionabili (si veda: http://www.pongovernance1420.gov.it/it/ocpa-2020/vela-veloce-leggeroagile-smart-working-per-la-pa/, ultimo accesso 13 novembre 2018).

(8) Avviso di manifestazione di interesse ad aderire alla prima Giornata di Lavoro Agile di Roma (si veda: http://www.pariopportunita.gov.it/news/lavoroagile-per-il-futuro-della-pa-cup-j89d16001240006-avviso-di-manifestazion e-di-interesse-ad-aderire-alla-prima-giornata-di-lavoro-agile-di-roma/ (ultimo accesso 13 novembre 2018).

(9) Osservatorio Smart Working 2018. Riferimenti normativi Legge n. 124/2015. Risoluzione del Parlamento europeo del 13 settembre 2016 sulla creazione di condizioni del mercato del lavoro favorevoli all'equilibrio tra vita privata e vita professionale. Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3/2017. Legge n. 81/2017. Circolare Inail n. 48/2017. Disegno di legge recante interventi per la concretezza delle azioni delle pubbliche amministrazioni e la prevenzione dell’assenteismo.

Bibliografia

(a) Barazzetta E. 2017 «La legge sullo smart working: azienda e dipendenti sempre più protagonisti del benessere organizzativo», in F. Maino (a cura di), Welfare aziendale tra dimensione organizzativa e cura della persona, «I quaderni di Sviluppo&Organizzazione» n. 23, Milano, Edizioni E.S.T.E. S.r.l., pp. 113-127.

(b) Osservatorio Smart Working 2017 Smart Working: sotto la punta dell'iceberg, Politecnico di Milano – Dipartimento di Ingegneria Gestionale Osservatorio Smart Working 2018 Una rivoluzione da non fermare, Politecnico di Milano – Dipartimento di Ingegneria Gestionale

 
 

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