Il mercato del lavoro soffre... e potrebbe andare anche peggio

Tra dicembre 2019 e gennaio 2020 l'occupazione è calata di 40.000 unità confermando le preoccupazioni per un mercato del lavoro stagnante. E il peggio sembrerebbe non essere ancora arrivato: il primo vero impatto del nuovo coronavirus si misurerà sui dati di febbraio, che l'Istat renderà noti a inizio aprile

Claudio Negro

I dati sul mercato del lavoro relativi al mese di gennaio, appena rilasciati da Istat confermano un trend di flessione degli indicatori occupazionali già rivelatasi a dicembre 2019, frutto di una conclamata frenata dell'economia più o meno diffusa in tutta Europa: ovviamente non danno conto di quello che saranno i dati di Febbraio, già fortemente condizionati dalla crisi coronavirus. Si vedrà, per quanto a occhio sia già possibile ipotizzare un balzo enorme della Cassa Integrazione e un congelamento nel flusso degli avviamenti al lavoro; poi, potrebbe anche andare peggio...

Tornando ai dati di gennaio si riscontra un calo degli occupati di 40.000 unità rispetto a dicembre, 25.000 autonomi, 5.000 dipendenti a tempo indeterminato e 10.000 a termine. Valore, quest'ultimo, non sorprendente: in momenti di flessione, i primi a saltare sono i contratti a tempo determinato, senza ovviamente alcun beneficio per la stabilizzazione dei lavoratori. Non passa mese che l'inutilità del Decreto Dignità non si manifesti! Anzi, a tal proposito va oltretutto segnalato che, negli ultimi 12 mesi, i contratti stabili sono cresciuti dello 0,8%, ma quelli a termine dell'1,4%.

Tornando agli occupati, il dato in termini tendenziali (vale a dire rispetto a 12 mesi fa) è ancora positivo di 76.000 unità, il che però peggiora il quadro generale: vuol dire infatti che negli ultimi due mesi è cominciato un'erosione della crescita che c'era stata nei 10 mesi precedenti. Altro dato pessimo riguarda poi il tasso di inattività, che cresce rispetto a dicembre dello 0,2%, mentre sale (sempre di 0,2 punti) anche il tasso di disoccupazione, sintomo del fatto che gli italiani sempre più scoraggiati nel cercare lavoro, e chi comunque lo cerca non lo trova in misura crescente.

Un indicatore inusuale, ma interessante, è invece quello che misura l'incidenza della disoccupazione per classi di età, considerando cioè le persone in cerca di lavoro in quella fascia di età in rapporto alla popolazione della fascia di età stessa. Premesso che, naturalmente, il dato della disoccupazione è influenzato da quello dell'inattività, ecco i valori per le diverse fasce: in quella tra i 15 e 24 anni, come prevedibile, il tasso di inattività è molto alto (il 74,6% ma, per questa fascia,  prevale del resto la popolazione in formazione); il tasso di disoccupazione, riferito cioè a quanti cercano lavoro e non lo trovano, è invece del 7,4%, dunque stabile rispetto a dicembre ma in calo (0,8%) negli ultimi 12 mesi. Nella fascia 25-34 anni, il tasso di inattività, come ovvio, scende notevolmente e l'incidenza dei disoccupati sulla popolazione aumenta: 10,7%, con dinamiche sostanzialmente uguali a quelle della fascia precedente. Tra i 35 e i 49 anni, il tasso di inattività scende al 19,2%, mentre si colloca al 6,8% l'incidenza dei disoccupati sulla popolazione: si registra cioè un lievissimo calo. Infine, nella fascia tra 50 e 64 anni, risale il tasso di inattività al 35% (essenzialmente in ragione dei pensionamenti anticipati) e, specularmente, scende l'incidenza della disoccupazione sulla popolazione della fascia al 3,8%, in lieve aumento (0,2%) rispetto allo scorso dicembre. 

Ora, come si diceva, questo indicatore - per quanto inusuale - è in realtà importante perché misura quante sono le persone in cerca di lavoro rispetto alla popolazione di una data platea. Lo stesso criterio che si utilizza cioè per il tasso di occupazione, vale a dire quante persone sono occupate rispetto alla popolazione considerata; il classico tasso di disoccupazione misura invece quante persone cercano lavoro ma non lo trovano. Tradotto questo signidica che, al limite, se 4 persone cercano lavoro e 2 non lo trovano, il tasso di disoccupazione è del 50%; se la popolazione considerata è invece di 100 unità, l’incidenza dei disoccupati sulla popolazione è del 2%. Il tasso di disoccupazione classico è insomma un indice più "dinamico", che misura l'efficienza del mercato del lavoro (quanti di coloro che cercano lavoro riescono a trovarlo), mentre l'indice dell'incidenza dei disoccupati sulla popolazione è “statico” ma misura in modo realistico quanti sono i disoccupati rispetto alla platea presa in considerazione.

Per meglio capire, si guardi alla differenza tra i due indicatori nelle fasce di età finora considerate: tra i 15 e 24 anni il tasso classico di disoccupazione è 29,3%, ma l'incidenza dei disoccupati  sulla popolazione è solo del 7,3%. Per la fascia 25-34, i due valori sono rispettivamente al 14,5% e al 10,7%. Per la fascia 35-49 è pari all'8,4% e al 6,8%. Infine, per la fascia 50-64 ammonta al 6% e al 3,9%. Come si vede, il dato dell'incidenza dei disoccupati sulla popolazione è costantemente inferiore al tasso classico di disoccupazione: i due indici tendono ad avvicinarsi nelle fasce di età centrali, dove più alta è la partecipazione al mercato del lavoro, e divergono sensibilmente per la fascia più giovane e quella più anziana. Sarebbe quindi bene tenere presente questi duplici indicatori, per evitare di gonfiare dal punto di vista statistico il tasso classico di disoccupazione, con l'effetto di enfatizzare (in bene o in male che sia) la situazione dell'occupazione.

Restiamo comunque in attesa dei prossimi dati, che cominceranno a darci l'idea dell'impatto del coronavirus sull'economia e sul mercato del lavoro... 

Claudio Negro, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali e Fondazione Anna Kuliscioff 

10/3/2020 

 
 

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