Il reddito di cittadinanza dopo la conversione in legge: cosa è cambiato?

L’ultimo Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali fa il punto sull’evoluzione dell’impianto normativo del reddito di cittadinanza: nonostante le novità introdotte a seguito dell’iter di conversione parlamentare permangono le criticità sull’efficacia della misura

Mara Guarino

È stata approvata ieri in via definitiva la legge che sancisce la conversione del decreto-legge “Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e pensioni” con cui, lo scorso 28 gennaio, oltre ad apportare alcuni importanti cambiamenti nel sistema pensionistico italiano e nelle opzioni di uscita dal mercato del lavoro (su tutti, impossibile non citare Quota 100), veniva ufficialmente introdotto il reddito di cittadinanza, misura nelle intenzioni nata per coniugare contrasto alla povertà e interventi di politica attiva del lavoro.

Un provvedimento in realtà non esente da criticità, rilevate peraltro anche da una dettagliata analisi a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, e sul quale non sono mancati gli interventi nel corso dell’iter di discussione e approvazione parlamentare, che ha in effetti apportato significative innovazioni riguardanti in particolar modo la platea dei potenziali beneficiari, cercando al contempo di ovviare anche alle problematiche insorte nella definizione sia del rapporto tra le varie amministrazioni coinvolte nella gestione operativa del reddito sia della legittimità (di alcune) delle procedure di controllo previste. D’altra parte, invece, l’impianto generale riferito alle modalità di accesso alle prestazioni, di selezione dei potenziali beneficiari, dell’entità delle prestazioni erogabili e delle condizionalità per mantenere i benefici risulta invece sostanzialmente invariato.

Una domanda sorge allora spontanea: in quale direzione vanno e quali i possibili effetti delle novità apportate dalla legge ? Una possibile risposta al quesito arriva dall’ultimo Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate di Itinerari Previdenziali, nel quale si evidenzia come in realtà le modifiche apportate vadano a complicare ulteriormente la già sofisticata architettura del reddito di cittadinanza, con il pericolo concreto di tempi di attuazione estesi ben oltre le scadenze previste per l’erogazione dei sussidi. Senza però smorzare quegli errori che rischiano di farne un’opportunità mancata nella storia del contrasto alla povertà assoluta in Italia.

Primo punto sottolineato dal paper curato da Natale Forlani è innanzitutto il persistere del rischio di incostituzionalità, potenzialmente superato nella parte relativa alle competenze delle Regioni, ma se possibile accentuato in quella riguardante i cittadini extracomunitari di lungo corso, ai quali non viene più solo richiesto di possedere la residenza in Italia da almeno 10 anni, ma anche di documentare la posizione patrimoniale detenuta nei Paesi d’origine, innescando evidenti complicanze e incertezze procedurali. Non meno preoccupazione destano poi le possibili lacune nei sistemi di controllo volti a monitorare e sanzionare i comportamenti anomali di richiedenti e percettori: la numerosità dei soggetti coinvolti tanto a livello nazionale quanto locale sarà infatti verosimilmente costretta a confliggere con l’impossibilità di operare accertamenti di massa sulle condizioni di reddito e patrimoniali della platea di riferimento.

Secondo macro-tema su cui il documento evidenzia delle perplessità è poi quello dell’effettiva efficacia della misura come politica attiva del lavoro (bassa occupabilità dei potenziali percettori, sistemi degli incentivi per le imprese che assumono a tempo indeterminato, ruolo dei navigator, etc). Tra le criticità spicca in particolare la definizione dell’entità salariale dell’offerta congrua di lavoro introdotta della legge di conversione, secondo cui l’offerta non potrà prevedere una remunerazione inferiore agli 858 euro mensili. Vien da sé che il solo fatto che prestazioni di lavoro stagionale, a termine, interinali e occasionali (ma in molti casi l’osservazione vale anche per il part-time con contratto a tempo indeterminato) diano spesso accesso a remunerazioni inferiori rispetto a quelle previste per l’offerta congrua rischia di produrre effetti distorcenti sul mercato del lavoro italiano, oltre che di alimentare ulteriormente il fenomeno del lavoro sommerso. 

Quale dunque il “bilancio finale”?  Premessa una sostanziale incertezza sulle dimensioni della platea dei beneficiari, ridimensionata a circa 2,7 milioni di persone anche per effetto della restrizione dei requisiti d’accesso per gli extracomunitari, resta innanzitutto la ragionevole impressione di una misura più spostata verso l’assistenza che verso la politica attiva del lavoro. Il potenziamento delle risorse disponibili a favore dei beneficiari e quelle destinate a lavoro e inclusione sono novità importanti rispetto a precedenti interventi di contrasto alla povertà e, proprio per questo, l’Osservatorio annota con rammarico la persistenza di una serie di errori di fondo – enfasi dedicata ai sussidi, insufficiente analisi dei fenomeni e dei bisogni del territorio e dei soggetti percettori, eccessiva burocratizzazione, etc – che rischiano di alterare finalità e uso della misura, trasformando il consenta reddito di cittadinanza in un intervento meramente assistenziale.

Il tutto, in assenza di una banca dati centralizzata che di raccogliere le misure già erogate a favorire di persone e famiglie in difficoltà (razionalizzando così le risorse) e, soprattutto, in assenza di interventi mirati a correggere e contrastare tutti quei fenomeni di “povertà educativa e sociale” che spesso contribuiscono ad alimentare, quando non addirittura a generare, la povertà economica.

Mara Guarino, Itinerari Previdenziali 

28/3/2019

 
 

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