Occupazione, è molto peggio di quanto sembra

La lettura degli ultimi dati di stock diffusi dall'Istat potrebbe generare, in assenza di un'analisi approfondita, un ottimismo infondato sullo stato di salute del mercato del lavoro italiano: senza piani precisi, strumenti e operatori competenti, il rischio è anzi quello di un vero shock sociale

Claudio Negro

I tempi di rilascio dei dati da parte delle varie agenzie (Istat, INPS, ANPAL, Ministero del Lavoro, etc) non consentono ancora di scattare una fotografia completa dell'andamento del mercato del Lavoro nel 2020. Tuttavia la felice quasi coincidenza dei dati Istat (stock) di novembre e dei dati INPS (flussi) relativi a ottobre 2020 permette di fare un’analisi che, per quanto circoscritta nel tempo, può produrre risultati interessanti.

Partiamo dai dati di stock: l’occupazione sale rispetto a ottobre dello 0,3%, ripartita abbastanza equamente tra dipendenti e autonomi. In ragione trimestrale (settembre-novembre), rispetto al trimestre precedente, l’incremento è addirittura dello 0,6%. Tuttavia, il dato tendenziale (novembre 2020 su novembre 2019) è ancora impietoso, - 1,7%. In ogni caso, si conferma una modesta ma costante crescita che, da luglio si rileva sia per i dipendenti sia per gli autonomi, tanto da riportare il tasso d’occupazione al 58,3% (il dato pre-COVID, risalente allo scorso marzo era pari al 58,6%). 

Una conferma - coerente con gli altri dati economici - del fatto che in estate, con l’apparente regredire della pandemia, l’andamento del mercato del lavoro aveva ripreso segno positivo. D'altro canto, è però opportuno notare che a novembre, come effetto della “seconda ondata”, il fatturato dell’industria cade del 4,1% (dato destagionalizzato) e quello del commercio al dettaglio addirittura del 13,1%: poiché il mercato del lavoro segue sempre l’andamento dell’economia reale con qualche ritardo, è presumibile che già a dicembre questa tendenza positiva cambi già di segno. Del resto qualche avvisaglia si può già riscontrare nel mese di novembre, quando il tasso di attività, dopo 8 mesi di crescita modesta ma costante, ha invertito la tendenza ed è sceso al 64,2. Ora, considerato che il tasso di attività si riferisce alle persone che lavorano o cercano occupazione ed è quind un indice del livello di fiducia nei confronti dello stato di salute del mercato del lavoro, è evidente che il “clima” di novembre già era percepito come sfavorevole all’occupazione. 

Da considerare oltretutto che le ore di cassa integrazione (nelle sue diverse forme) di competenza del mese di novembre sono 8 milioni più di quelle di ottobre, segno anche questo di un rovesciamento di tendenza. Corrispondentemente sono diminuite le ore lavorate pro capite settimanalmente di 1,9 (2,5 se consideriamo anche i lavoratori autonomi) e aumentate le assenze dal lavoro (+3,9%). L'apparente dato positivo del calo del tasso di disoccupazione è quindi un puro effetto ottico: se meno gente cerca lavoro diminuisce anche il numero di chi non lo trova, il che influenza e sancisce appunto il tasso di disoccupazione.

Quanto ai flussi (dati INPS – archivio UNIEMENS) è possibile analizzare i dati dei primi 10 mesi dell’anno. Ne emerge subito uno paradossale: a ottobre 2020 i lavoratori dipendenti con contratto a tempo indeterminato erano 15.128.000 (a novembre addirittura 15.202.000) ossia la più alta quantità mai registrata nella storia economica del Paese. E questo nonostante le nuove assunzioni nei primi 10 mesi dell’anno siano state oltre 330.000 in meno rispetto ai primi 10 mesi del 2019, le trasformazioni di altri contratti in contratti a tempo indeterminato nello stesso periodo 190.000 in meno e la variazione tendenziale di nuovi contratti sia stata a ottobre del 59% inferiore rispetto a un anno fa.

La spiegazione è nel calo drastico delle cessazioni: da quando, a marzo, è entrato in vigore il divieto di licenziamento per motivi economici le cessazioni sono il 70% di quelle dello stesso periodo del 2019; a ottobre erano 337.000 in meno rispetto a marzo-ottobre 2019. Posto che, oltre ovviamente alle cessazioni per pensionamento, non sono stati bloccati né i licenziamenti per giusta causa né le dimissioni volontarie o consensuali, è verosimile che grosso modo la cifra rappresenti la differenza tra lo stock di cessazioni fisiologiche e quelle risultanti dal “congelamento COVID”, e non a caso è infatti praticamente coincidente con il dato delle minori assunzioni. Questa semplice analisi dei flussi minimizza qualsiasi ottimismo possa avere ingenerato la lettura dei dati di stock. 

Ma tornando al trend ipotizzabile per il dopo novembre, può essere interessante notare come il mensile sondaggio Unioncamere-Excelsior per il mese di ottobre segnalasse intenzione di assunzione da parte delle aziende per 281.000 unità, mentre i dati INPS mostrano che gli avviamenti effettivi (al netto di contratti a termine e intermittenti, che normalmente le aziende non segnalano nelle intenzioni di assunzione) sono stati 215.000, un 24% in meno. Per novembre le previsioni erano già in calo (265.000) ma non si ha ancora il riscontro degli avviamenti effettivi. A dicembre la previsione è addirittura di 217.000.

Se davvero il rimbalzo del PIL nel 2021 dovesse essere solo del 3%, come prevede il Fondo Monetario Internazionale, sarà davvero complicato far fronte alla situazione che si materializzerà, quando - prima o poi - la CIG COVID comincerà a essere meno generosa e il divieto di licenziamento verrà rimosso. Vero che ciò probabilmente accadrà con una certa gradualità, ma il problema di come gestire numeri del genere sul mercato del lavoro non trova soluzione in un approccio graduale: senza piani precisi, strumenti e operatori competenti, nonché senza abbastanza soldi da investire opportuamente, si rischia uno shock sociale.

Tutto ciò però sembra occupare la parte bassa della classifica delle priorità del Next Generation dispensata dal Conte bis…          

Claudio Negro, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali e Fondazione Anna Kuliscioff

1/2/2021

 
 

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