Perché (e come) la pandemia ha colpito soprattutto le donne

Può sembrare quasi un cliché parlarne ma i numeri obbligano a farlo, specialmente oggi: il 2020 è stato un anno particolarmente negativo per le donne, che si sono impoverite più degli uomini anche perché più colpite dalla crisi occupazionale innescata da COVID-19

Giovanni Gazzoli

L’8 marzo 2021 ha un sapore particolare: la festa della donna, infatti, arriva dopo un anno che proprio per il sesso femminile è stato particolarmente difficile. Si è tanto parlato, specie durante i periodi di lockdown forzato, dei rischi aumentati di violenze domestiche; nelle ultime settimane, invece, sono usciti numeri che hanno destato preoccupazione anche su un altro versante, quello occupazionale.

Un recente Osservatorio curato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali analizza i dati relativi all’andamento del mercato del lavoro nel 2020, rilevando con esaustività una situazione drammatica per tutto il Paese per quanto riguarda l’occupazione. Dramma fotografato da diversi dati: il calo del PIL dell’8,9%, la diminuzione pro capite di 2,9 ore lavorate a settimana, la chiusura del 7,2% delle imprese private, la spesa di 18 miliardi per la sola cassa integrazione (2,9 miliardi di ore autorizzate con causale COVID-19; erano state un miliardo negli anni della crisi finanziaria 2011-2015), l’esorbitante stima di un milione di disoccupati “con cui il Paese dovrà inevitabilmente confrontarsi” all'esaurirsi della CIG e allo stop del congelamento dei licenziamenti per motivi economici. Già a dicembre 2020, del resto, Istat ha certificato 444mila occupati in meno rispetto al 2019, quasi l’1% (erano stati -390 mila nel 2009 sul 2008). 

Numeri che fanno appunto da cornice al nefasto dipinto a tinte rosa della disoccupazione: ben 312mila donne, infatti, hanno perso il lavoro nel 2020, vale a dire il 70% dell’occupazione totale venuta meno per la crisi economica post crisi sanitaria. L’Osservatorio prova a spiegare questi numeri a partire da un confronto con la crisi economica del 2008: quest’ultima aveva in relatà portato a un maggior ricorso all’occupazione femminile, in particolare part-time e in settori con basso contenuto professionale, per contrastare il calo occupazionale; al contrario, stavolta il lockdown ha colpito settori, quali turismo e commercio, dove la presenza femminile è molto intensa. Da qui, deriva la clamorosa statistica del mese di dicembre, che rispetto a novembre ha visto una diminuzione in Italia di 101mila occupati, dei quali 99mila di sesso femminile: questo perché - come si legge nella pubblicazione -  “a dicembre scadono (abitualmente) molti contratti a termine soprattutto nel comparto terziario”, il che colpisce appunto soprattutto donne e lavoratori autonomi (non a caso calati di 80mila unità).

È anche da qui che nasce il dato sulla povertà assoluta, sempre diffuso da Istat, relativo alle donne. Queste ultime, infatti, nel 2019 avevano un’incidenza di povertà assoluta del 7,6% a fronte del 7,8% degli uomini, mentre nel 2020 il dato dei due sessi si è parificato al 9,4%, che significa un aumento della percentuale femminile di 1,8 punti, lo 0,2% in più degli uomini. Prendendo invece a riferimento il 2017, ultimo anno in cui la povertà assoluta era aumentata, si era passati da una percentuale di donne in povertà assoluta del 7,9% nel 2016 a una dell’8% nel 2017, a fronte di un incremento degli uomini dal 7,8% all’8,8%.

Non sono però solo i numeri “economici” che preoccupano. EU.R.E.S ha analizzato il report sugli omicidi della Direzione centrale della polizia criminale, sottolineando che nel 2020 il numero degli omicidi volontari sia diminuito a 271: un dato che conferma il calo in corso da diversi anni, visto che erano 375 nel 2017, 359 nel 2018 e 315 nel 2019, mentre tornando a 20 anni fa (al 1990) erano addirittura 1.633. Ebbene, la preoccupazione nasce dal fatto che i numeri relativi ai femminicidi non seguono lo stesso trend positivo: se nel 2019 l’incidenza delle vittime donne sul numero totale di omicidi commessi era intorno al 30%, nel primo periodo di lockdown del 2020 è cresciuta fino al 61%, per diminuire nei mesi successivi e risalire al 59% a novembre, con il ritorno delle misure restrittive. Insomma, sembra esserci correlazione tra lockdown e violenza sulle donne. Inoltre, le donne uccise in ambito lavorativo ed economico sono passate da 0 a 3, e sono aumentati anche i femminicidi seguiti da suicidi (dal 23% del 2019 a 43,1% del 2020); preoccupa infine in particolare la situazione delle over 64, vittime di quasi un terzo del totale (+1,6% dal 2019 al 2020).

Sono numeri che ancora una volta mettono in evidenza chiare criticità da fronteggiare ed elementi di vulnerabilità con cui confrontarsi, in ogni ambito della società e in ogni aspetto della vita. A maggior ragione bisogna farlo nell’epoca della sostenibilità, che non è solo attenzione all’ambiente, ma anche e soprattutto all’uomo e alla società: del resto, la componente “S-social” è al centro di “E-environment” e “G-governance”, nell’acronimo ESG che ha l’ambizione di cambiare la finanza e il suo impatto sulla società. 

La discriminazione di genere, del resto, è tra le più frequenti metriche inserite nei framework di valutazione delle performance “Social”, così come la diversità di genere lo è in quelle di “Governance”. Un recente Quaderno di Ricerca curato da Intermonte e dall School of Managemnt del Politicnico di Milano mostra come nel periodo 2017-2019 le piccole e medie imprese quotate che hanno modificato la composizione del personale, non lo hanno sempre fatto in ottica di parità di genere: quasi la metà, al contrario, lo ha fatto nel senso opposto. La chiosa è abbastanza lapidaria: “nonostante il 95,2% delle aziende possegga una politica sulla discriminazione di genere e sulla tutela delle pari opportunità, dati alla mano non è evidente uno sforzo corale in tale direzione”.

Giovanni Gazzoli, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

8/3/2021

 
 

Ti potrebbe interessare anche