La questione aperta dei Centri per l'Impiego

A gestire l’erogazione del reddito di cittadinanza saranno i Centri per l’Impiego, che attualmente intermediano però solo poco più del 3% complessivo dei contratti di lavoro: basteranno maggiori investimenti pubblici per rendere il sistema efficiente e competitivo?

Gabriele Fava

La Legge di Bilancio per il 2019, attualmente in discussione in Parlamento, prevede l’erogazione, a partire dal 2019, del cosiddetto reddito di cittadinanza. Destinatari del reddito di cittadinanza dovrebbero essere, secondo i calcoli del Governo, circa 6,5 milioni di cittadini, tra disoccupati e occupati a basso reddito, ai quali verrà proposta una specifica formazione e riqualificazione professionale, così come inserimento in lavori socialmente utili in attesa di una congrua proposta di lavoro.  A gestire l’erogazione del reddito di cittadinanza saranno chiamati i Centri per l’Impiego (CpI), eredi dei vecchi uffici di collocamento, e destinatari, nelle intenzioni della maggioranza, di una profonda e attualmente non ancora ben definita opera di rinnovazione.

A oggi, infatti, sul territorio italiano sono presenti circa 500 Centri per l’Impiego, gestiti dalle Regioni su base provinciale, con un totale di personale impiegato di circa  9mila impiegati pubblici per una spesa totale annua che si aggira intorno ai 600 milioni di euro. Nonostante ciò, secondo i dati raccolti dall’ANPAL (Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro) e dall’Istat (Istituto Nazionale di Statistica), solo il 3,5% dei lavoratori ha trovato impiego grazie al sistema di collocamento pubblico a fronte di un più elevato 6% che ha dichiarato di aver trovato impiego grazie ai servizi resi dalle Agenzie per il Lavoro private.

Dati alla mano, l’Italia si colloca ben al di sotto della media europea per quanto concerne l’efficacia del sistema di collocamento pubblico. Paesi quali la Francia e la Gran Bretagna, infatti, registrano dati rispettivamente del 6,7% e del 7,8%; la Germania, dal canto suo, raggiunge percentuali pari al 10,5%. Svezia e Finlandia, invece, riescono a ottenere risultati di collocamento della forza lavoro tramite le proprie strutture pubbliche rispettivamente del 13,2% e del 15,4%.

Alla luce dei preoccupanti dati citati, ci si domanda dunque come i centri che dovrebbero trovare impiego ai destinatari del reddito di cittadinanza e che attualmente riescono a intermediare solamente poco più del 3% complessivo dei contratti di lavoro, possano diventare, in qualche mese, il fulcro di una manovra economica di tale rilevanza. D’altronde, il mancato decollo dei CpI è dovuto, oltre che a un basso livello di investimenti pubblici nel sistema di collocamento nazionale, anche, e soprattutto, al fatto che nel nostro Paese la ricerca di un nuovo impiego viene tutt’ora svolta attraverso la cosiddetta “rete di relazioni”, un fattore, quest’ultimo, da prendere in considerazione in quanto strettamente collegato al malfunzionamento dei Centri per l’Impiego.

Le storiche problematiche di penetrazione dei Centri per l’Impiego nel mercato del lavoro in Italia sono state ulteriormente accentuate dai recenti interventi normativi quali l’abolizione delle Provincie, con il conseguente riassorbimento del personale dipendente dei CpI (organizzato dalle Regioni su base provinciale) e la creazione dell’Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro (ANPAL) con competenza nazionale in tema di politiche attive, trovatasi a operare, però, in un contesto di competenze in parte statali e in parte regionali, con evidenti difficoltà di coordinamento tra i vari player istituzionali e del mercato.

Con riferimento alla modernizzazione del sistema italiano dei Centri per l’Impiego, l’errore che non deve essere commesso è credere che basti aumentare gli investimenti pubblici nel sistema per renderlo in linea con i principali competitor europei. I sistemi tedesco o inglese, infatti, si presentano come una rete capillare e altamente tecnologizzata, dalla quale si riescono a ricevere informazioni dettagliate e costantemente aggiornate sulle opportunità in atto tramite l’incrocio dei dati provenienti da più fonti e da più attori. Oltralpe, inoltre, sono da tempo in campo numerosissimi strumenti di politiche attive per il lavoro, a oggi ancora assenti nel nostro Paese.

A ben poco, dunque, servirebbe un aumento del finanziamento pubblico se non accompagnato da una sapiente riorganizzazione del sistema sulla base di vere e proprie partnership pubblico-privato e da un'implementazione di strumenti di politiche attive atte a ridurre il divario, attualmente esistente, tra il sistema italiano e le best practices europee, rendendo più efficace ed efficiente il ruolo dei CpI nello scenario dei sistemi di collocamento nazionali. 

Gabriele Fava, Socio Fondatore e Presidente dello Studio legale Fava & Associati​

27/11/2018

 
 

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