Perché (e come) introdurre il salario minimo anche in Italia

Impedire che il lavoro scivoli nella sottoretribuzione attraverso il salario minimo: una strada percorribile anche in Italia? E a quali condizioni? Ecco perché quello del salario minimo è un tema centrale per l'occupazione e l'economia del Paese, un argomento che merita attenzione anche dopo lo spegnimento dei "riflettori elettorali" 

Claudio Negro

Si è aggirata nel dibattito elettorale la proposta dell'istituzione del Salario Orario Minimo (nulla a che vedere col Reddito di Cittadinanza, ovviamente): non si tratta di una sparata elettorale e sollecita qualche riflessione. Si inserisce infatti nel dibattito circa l’esigenza di impedire che parte del lavoro scivoli nella sottoretribuzione. Non solo, come è ovvio, per motivi etici, ma anche perché, come ha affermato lo stesso Draghi, la sottoccupazione e la flessibilità al ribasso distorcono la dinamica dell’inflazione con effetti dannosi per la crescita.

La proposta si presta ovviamente a una serie di critiche e di obiezioni, tra cui le più serie sono riconducibili al seguente ragionamento: in Italia i CCNL coprono tutto il mondo del lavoro subordinato e la giurisprudenza riconosce nei minimi tabellari stabiliti dai CCNL l'equa retribuzione, e quindi di fatto il salario minimo. Tra l’altro, i minimi tabellari contrattuali variano a seconda dei settori e sono quindi aderenti a condizioni economiche reali. Una paga oraria minima legale trasversale ai settori produttivi sarebbe inevitabilmente inferiore ai minimi tabellari di molti CCNL, il cui valore non sarebbe reggibile per i comparti più deboli; di conseguenza, potrebbe esserci il rischio di una riduzione complessiva delle retribuzioni, in particolare di quelle delle figure di inquadramento più alto.

A fronte di quest'obiezione vi sono tre considerazioni:

1. Una paga minima oraria avrebbe effetto su quel pezzo di mondo del lavoro che oggi è fuori dalle tutele sindacali: le Collaborazioni, le Partite IVA in monocommittenza, in generale tutti i lavoratori non subordinati ma economicamente dipendenti, coloro che lavorano occasionalmente utilizzando piattaforme informatiche, da UBER a Feedora ecc, coloro che lavorano in comparti dove è rarefatta la presenza sindacale. L’Italia è il Paese con una quota di persone “escluse” tra le più elevate dell'UE: circa il 13%, con picchi di oltre il 40% nel settore dell’agricoltura, del 30%  nelle costruzioni e oltre il 20% nelle attività artistiche e intrattenimento e nei servizi di hotel e ristorazione.

2. È in circolazione una molteplicità di Contratti Collettivi di comodo firmati da associazioni datoriali e sindacati autoreferenziali che fissano, del tutto legalmente, paghe orarie ben al di sotto dei minimi tabellari dei CCNL contrattati dai Sindacati Confederali. È noto che in Italia sono vigenti oltre 800 Contratti Collettivi, di cui circa solo un quarto firmati da Organizzazioni Sindacali e Datoriali esistenti e rappresentative. È ben vero che a questa forma di dumping contrattuale basterebbe contrapporre l’attuazione dell’art. 39 della Costituzione, per cui avrebbero valore legale soltanto i CCNL siglati dalle Organizzazioni maggioritarie, escludendo automaticamente sindacati di comodo o minoritari. Ma allo stato del dibattito, nonostante la volontà più volte reiterata, non pare vicino il momento di una norma in questo senso; senza contare che, anche quando verrà attuata , imarranno da sciogliere alcuni nodi legali riguardo l’obbligo per tutti di aderire a tali Contratti. Indubbiamente pare più rapido e semplice istituire il salario minimo di legge.

3. Un Salario Minimo garantito per legge alleggerirebbe il Contratto Nazionale di Lavoro dalla responsabilità implicita di determinare, secondo consolidata giurisprudenza, l'ammontare della "equa retribuzione" costituzionalmente prevista, e aprirebbe maggiori spazi alla contrattazione collettiva per profilare le dinamiche retributive valorizzando la partecipazione ai risultati d'impresa e agli incrementi di produttività. Questo approccio disegna un ruolo diverso dall'attuale per il CCNL e per la contrattazione di secondo livello (o di prossimità, con termine più trendy ma anche più preciso). Rimossa l'esigenza che il CCNL determini le retribuzioni minime, la contrattazione collettiva potrebbe anche articolarsi su un livello di prossimità che leghi la retribuzione a criteri oggettivi (fatturato, produttività, competitività) in alternativa a una contrattazione nazionale che determini i minimi tabellari legandoli all'andamento del comparto (quindi in supero rispetto al minimo di legge).

C’è un’altra obiezione ragionevole: un salario minimo uguale per tutto il territorio nazionale produrrebbe in termini di potere d’acquisto un notevole squilibrio tra Regioni del Nord e del Sud. Il che peraltro avviene già con i minimi tabellari, che vengono riequilibrati in qualche modo dalla contrattazione di secondo livello (dove si fa...) E potrebbe accadere anche col salario minimo. Si potrebbe anche pensare però, per quei settori che sono fuori dal sistema delle relazioni industriali e per i quali è difficile immaginare una contrattazione di prossimità nel futuro vicino, a minimi salariali differenziati per territorio. Sono gabbie salariali? Se non si fanno, lo saranno all’inverso, diminuendo il valore d’acquisto dei minimi salariali nelle aree forti del Paese.

Un’altra obiezione è che alzando così il salario minimo nelle aziende che oggi non applicano i CCNL (o che applicano Contratti di comodo) si potrebbe determinare una campagna di licenziamenti e sprofondamento nel nero. A parte il fatto che lo stesso risultato si determinerebbe universalizzando l’obbligo ad applicare i minimi tabellari di un CCNL “doc”, quest’obiezione segnala un problema reale: per molte piccole aziende c’è un confine rarefatto tra il restare nell’economia legale e il nascondersi nel nero, e la scelta è legata ovviamente ad un problema di costi-rischi (se poi la scelta di stare nel nero ha motivazioni criminali non può evidentemente essere contrastata da provvedimenti di natura economica). Ovviamente, non può essere accettabile l’alternativa “o sottoretribuzione o nero”, ma neanche è sufficiente l’opzione ispettivo-repressiva: sarebbe la più logica e civile, ma questo è un Paese particolare. In molte zone sono al confine del nero non solo il lavapiatti o la badante, ma anche piccole imprese di servizi o addirittura manifatturiere. O decidiamo di far finta che non esistano, oppure troviamo un punto di equilibrio accettabile, con salari bassi ma certi, legali, pensionabili.

Questo ragionamento diventa centrale e si declina così: a quanto deve ammontare il salario minimo? Nella media UE rappresenta tra il 40% e il 60% del salario minimo mediano contrattuale. In Italia vorrebbe dire tra i 5 e i 7 euro orari. Secondo la letteratura in proposito pare che fino al 50% l’introduzione del salario minimo di legge non abbia effetti negativi sull’occupazione. Tuttavia, sembra ragionevole che la determinazione del salario minimo debba realizzarsi tramite una concertazione tra Governo e Parti Sociali, come avviene nella gran parte dell’UE. Tanto per fare un bagno di concretezza, la paga oraria da minimo tabellare dei metalmeccanici in Italia va dagli 8,8 ai 7,3 euro. In Germania siamo sopra i 9 euro e il salario minimo è poco sotto i 5 euro e non è che in Germania la contrattazione collettiva sia stata abolita, anzi... In realtà, il salario minimo è servito per dare un minimo di tutela ai mini-jobs.

Ultima obiezione che merita una risposta: ma perchè mai un'azienda dovrebbe accettare di applicare un CCNL o un Contratto Aziendale o Territoriale quando semplicemente applicando la legge sul salario minimo può essere a posto e risparmiare? Perché l'accesso delle imprese a benefici, incentivi, provvidenze e facilitazioni potrebbe essere vincolato all'applicazione del CCNL o del Contratto aziendale-territoriale. Perché l'accesso a sistemi di bilateralità, ormai sempre più determinanti con prestazioni in materia di sostegno alle imprese, integrazione al reddito, formazione continua, ecc. potrebbe essere consentito solo a chi applichi un Contratto, e non semplicemente il Salario Minimo.

Claudio Negro, Fondazione Anna Kuliscioff 

6/3/2018

 
 
 

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