Tutte le contraddizioni del mercato del lavoro italiano: i dati del terzo trimestre 2019

Anche i dati più recenti relativi all'andamento del mercato del lavoro italiano sembrano confermare una situazione di sostanziale stallo: soffre la produttività, mentre non raccoglie l'esito sperato il tentativo di creare occupazione tramite Quota 100 e reddito di cittadinanza 

 

Mara Guarino e Claudio Negro

Cosa suggeriscono le ultime rilevazioni Istat e INPS sull’andamento del mercato del lavoro italiano nel terzo trimestre dell’anno? I segnali sono in realtà contrastanti: dopo un secondo trimestre piuttosto statico, diminuisce infatti dello 0,1% il dato di stock relativo agli occupati (-7.000 occupati rispetto al trimestre precedente), con un calo peraltro concentrato nel mese di settembre, mentre il tasso di occupazione (occupati su numero di abitanti in età di lavoro) è ormai fermo al 59,1% da tre mesi consecutivi, quello di disoccupazione sale al 9,9% e quello di inattività scende dello 0,1%. Nel frattempo, crescono le retribuzioni, soprattutto grazie ai recenti rinnovi di alcuni importanti contratti industriali (Chimico- Farmaceutico, Metalmeccanico, Energia, ecc.) e indicazioni parzialmente positive giungono dall’andamento della Cassa Integrazione a settembre. 

Variazioni in ogni caso minime proprio perché poco pronunciate sul piano delle grandezze e che, come evidenziato nell’ultimo Osservatorio sul mercato del lavoro a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, diventano allora - pur all’interno di un quadro contraddittorio - la conferma di una fase di sostanziale fissità, nella quale è anzi ancora possibile intravedere all’orizzonte segnali di stagnazione. 

Una prima indicazione interessante si ricava ad esempio dai dati di flusso INPS (avviamenti al lavoro e cessazioni): il saldo ad agosto - che, va ricordato, non è identico al dato di stock di Istat perché nelle Comunicazioni Obbligatorie che generano i dati di flusso possono esserci più avviamenti e/o cessazioni a carico della stessa persona - è positivo per 338.000 unità, ma ad agosto 2018 lo era per ben 383.000, una rilevazione che, senza inficiare i dati di stock, sembrerebbe appunto confermare l’impressione di una dinamica di flusso orientata al ribasso. Una seconda arriva invece dallo stallo delle ore lavorate: fatto 100 il 2015, era a 113 nel secondo semestre 2018 e a 11 nel 2017: nel 2019 (in questo caso la rilevazione si arresta però al secondo trimestre dell’anno), tocca quota 115. A fronte dell’incremento del numero degli occupati rispetto al passato, una crescita troppo lenta per non far scattare un campanello di allarme: alla crescita occupazionale non corrisponde alcun incremento di produttività.

E, con un indice di fiducia dei consumatori in calo e ancora di più con una crescita del PIL stimata intorno a un modesto 0,1%, le previsioni per il quadro trimestre 2014 non sono più rosee, malgrado la moderata fiducia delle imprese rilevata dall’Istat: verosimile anzi attendersi un mercato del lavoro sostanzialmente stabile, ancor di più tenuto conto dell’impatto tutt’altro che dirompente dei più recenti interventi normativi in materia. Se le incentivazioni all’assunzione a tempo indeterminato (Jobs Act prima e Decreto Dignità poi) hanno ormai esaurito la loro forza propulsiva e quelle previste per il Sud soffrono la mancanza di domanda, reddito di cittadinanza e Quota 100 mostrano al momento un effetto non certo particolarmente incisivo sulle dinamiche occupazionali italiane.

A partire dallo scorso mese di marzo, il numero degli occupati è rimasto sostanzialmente stabile tra 23.321.000 23.354.000 (non in crescita progressiva) a fronte di una stima di almeno 95.000 di persone uscite anticipatamente dal lavoro con Quota 100 al netto dei dipendenti pubblici: ora, una variazione non progressiva di 30.000 unità nell'arco di 7 mesi parrebbe dimostrare che l'impatto di questi pensionamenti anticipati è stato quasi nullo rispetto al turnover fisiologico o, in ogni caso, molto distante da quella perfetta staffetta generazionale “pensionando in uscita/giovane lavoratore in entrata” di cui si era parlato all’atto di nascita del provvedimento. Il connubio reddito di cittadinanza - politiche attive del lavoro fa però decisamente peggio, tanto che su un totale di 700mila beneficiari considerati rioccupabili, solo 50mila hanno concretamente finito il Patto per il Lavoro alle perplessità iniziali sull’efficacia della misura si sono d’altra parte sommati ritardi e un’attuazione gravemente approssimativa (basti pensare al “caso navigator”). 

Troppo poco - e male - per un Paese che avrebbe prima di tutto bisogno di provvedimenti (e investimenti) in grado di rilanciare produttività, crescita e sviluppo. Senza creare le condizioni concrete per un aumento della partecipazione al mercato del lavoro, quantomeno utopistico pensare di creare occupazione e uscire “in forza di legge” da una fase, ormai prolungata, di preoccupante stallo. 

Mara Guarino e Claudio Negro, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

11/11/2019

 
 

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