Coronavirus, da crisi sanitaria a occupazionale

La crisi sanitaria prodotta da COVID-19 si sta trasformando con impeto in una crisi occupazionale, con effetti dirompenti per il welfare e, in particolare, per la gestione delle pensioni e degli ammortizzatori sociali: escludendo le prestazioni temporanee, il disavanzo INPS per il 2020 potrebbe aggirarsi tra i 41 e i 49 miliardi, un livello da non sottovalutare

Alberto Brambilla e Claudio Negro

La crisi sanitaria prodotta da COVID-19 si va trasformando con impeto in una crisi occupazionale. 

I numeri

Al 21 maggio sono già 7,7 milioni i lavoratori coinvolti in richieste di CIG. Se solitamente l’utilizzo effettivo è pari al 40% di quanto richiesto, la pandemia ha invece ampliato molto l’utilizzo della Cassa: infatti al 21 maggio è già stato pagato il 71% del potenziale, in prevalenza con l'anticipo da parte dell'azienda, ma - tenendo conto dei ritardi nei pagamenti diretti, soprattutto della Cassa in Deroga - alla fine, l'utilizzo reale non sarà lontano dal 100%. Questi dati si riferiscono alle prime 9 settimane di CIG con causale COVID finanziate dal decreto "Cura Italia" anche se è possibile una diminuzione delle richieste di CIG previste nel decreto "Rilancio" in quanto, se a marzo solo il 46% delle aziende risultava autorizzato a proseguire l'attività, a maggio erano già il 76%. Stanno aumentando invece notevolmente i sussidi di disoccupazione (NASpI e DIS-COLL): nel periodo marzo-maggio è stato presentato il 40% di richieste in più rispetto al 2019, l'82% delle domande riguarda contratti a termine scaduti, ma lasciati in essere dai vari Dpcm che hanno bloccato i licenziamenti per 5 mesi. Dopo quella data ai contratti a termine cessati si aggiungeranno i licenziamenti veri e propri. 

 

I costi

Quantificare le spese effettive delle iniziative di sostegno al reddito è un esercizio difficile, ma possiamo almeno avere un'indicazione analizzando i vari provvedimenti: il decreto "Cura Italia" ha istituito una serie di ulteriori e inedite provvidenze a favore dei lavoratori dipendenti e autonomi per un importo previsto di 10,5 miliardi, ma Cassa Integrazione e Assegno di solidarietà per 9 settimane - supponendo un tiraggio del 100% - costerebbero circa 16,2 miliardi di cui, in base alla serie storica INPS, almeno due terzi dovrebbero essere coperti dal Fondo stesso (finanziato dai contributi delle imprese), ma gradualmente la quota si sposterebbe a carico della fiscalità generale, anche perché circa il 40% dei contributi, corrispondenti ai lavoratori sospesi, verrebbero meno.

Il nuovo decreto “Rilancio” ha prolungato la CIG e gli assegni di solidarietà per ulteriori 9 settimane con un finanziamento di 15 miliardi. Di questi, considerando il ridotto apporto del Fondo CIG Ordinaria e supponendo che la CIG possa flettere di un 12-15% in conseguenza delle riaperture, almeno 6 miliardi dovrebbero coprire Cassa Integrazione e Fondi di Solidarietà, 3 miliardi per il bonus agli autonomi, più il rinnovo dei permessi genitoriali, l'estensione del bonus ai collaboratori domestici, il reddito di ultima istanza per altri 4 miliardi. Inoltre, occorre sommare tra i costi il fabbisogno - ormai per intero a carico dello Stato - per le indennità di disoccupazione (essenzialmente NASpI) per almeno 24 miliardi a dati attuali, ma destinati ad aumentare di molto man mano che scadono i contratti a termine e con la cessazione del divieto di licenziamento. I 15 miliardi stanziati col decreto per gli ammortizzatori sociali sembrano congrui, ma dimostrano che i 10,5 miliardi del primo stanziamento dovranno essere moltiplicati parecchie volte soprattutto se andremo oltre il mese di maggio come fine della crisi.

Nel 2018 lo Stato è intervenuto a coprire la spesa per ammortizzatori sociali con 6,2 miliardi rispetto a una spesa di 19,347 miliardi, di cui solo 1,547 di Cassa Integrazione che, nel 2020, può essere invece più di 10 volte superiore se, come verosimile, la necessità di CIG non si esaurirà con questo rinnovo. Infatti, solo per CIG Ordinaria, in Deroga e Assegni di Solidarietà arriveremo facilmente a 18-20 miliardi, cui aggiungere 24 miliardi (o più) di disoccupazione e le altre provvidenze che non sono neppure parzialmente coperte da contributi. In totale, per il solo 2020, si può ipotizzare un fabbisogno di risorse pubbliche ben superiore ai 55 miliardi solo per ammortizzatori sociali, esclusi i contributi figurativi (non poca roba), liquidità per le imprese, spese per la sanità e così via. 

 

L'occupazione

Ovviamente i livelli occupazionali nel dopo crisi sono condizionati dalla velocità e dalla qualità della ripresa. I contratti a termine attualmente sono oltre 3 milioni e sono i primi candidati alla cessazione del rapporto di lavoro; di questi, poi, 385.000 sono dipendenti da imprese sospese del comparto turismo-ristorazione e commercio al dettaglio, per i quali un ritorno al lavoro pare molto improbabile, come per buona parte degli 800.000 contratti part-time nello stesso comparto. Su 3.200.000 occupati di quest'ambito la metà sono in Cassa Integrazione, mentre le imprese del settore sono ferme per il 60% (commercio al dettaglio) e 90% (turismo ristorazione); Confcommercio teme che 260.000 esercizi non riapriranno, con la perdita vicina a un milione di occupati.

Altri settori molto colpiti, quali automotive e abbigliamento, hanno prospettive di ripresa più concrete, ma difficilmente ne usciranno indenni. Un esercizio poco sofisticato ma empirico ci offre questi risultati: nella crisi iniziata nel 2008 la perdita di PIL cumulata fu del 7% circa e la perdita di occupazione di quasi 1 milione (tra lavoratori dipendenti – oltre 380mila - e autonomi; se nel 2020 perderemo il 9,5% del PIL, e ammesso che si cominci a recuperare nel 2021, possiamo ipotizzare in circa 1.500.000 i posti perduti. La stessa Confindustria del resto ipotizza in 1.700.000 i disoccupati “COVID”. Verosimile una forchetta tra 1.300.000 e 1.700.000 disoccupati, con una media probabile di 1.500.000.

Tutto ciò probabilmente avrà effetti dirompenti sull’intero welfare e soprattutto riguardo alle pensioni e alla gestione degli ammortizzatori sociali: le entrate contributive potrebbero ridursi tra i 16 e i 19 miliardi, mentre le maggiori uscite si potranno attestare tra gli 8 e i 10 miliardi; a queste si dovranno aggiungere i costi per le prestazioni temporanee (molto alti, come abbiamo visto) che dovranno essere ripianate con trasferimenti dallo Stato. Il disavanzo INPS per il 2020 potrebbe quindi aggirarsi, escludendo le prestazioni temporanee, tra 41 e 49 miliardi, un livello da non sottovalutare. 

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

Claudio Negro, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali e Fondazione Anna Kuliscioff 

8/6/2020 

L'articolo è stato pubblicato sul Corriede della Sera, L'Economia dell'8/6/2020
 
 

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