Un centesimo al giorno toglie 12.000 euro di torno

Nonostante si voglia far passare l'ultima sforbiciata al potere d'acquisto delle pensioni come un affare di pochi centesimi, tanto che nemmeno L'avaro di Molière se ne avrebbe cura, i numeri dicono diversamente: si va dall'intera annualità (o poco meno) di chi riceve almeno 2.800 euro netti al mese ai circa 12mila euro in meno per il milione di pensionati che ne riceve 1.600 

Alberto Brambilla e Antonietta Mundo

"Neppure L'avaro di Moliere si accorgerebbe di quanto perdono le pensioni con la nostra rivalutazione all'inflazione tanto modesto è l'importo". Così affermava il premier Giuseppe Conte, più o meno come avevano fatto i suoi predecessori, rendendo a tutti evidente quanto la politica abbia perso il contatto con la realtà e si sia rifugiata nello storytelling... ma le cose non stanno così! Dai calcoli che abbiamo elaborato si evince come le perdite siano altissime: in 13 anni (dal 2006 al 2019) sono pari a mezza annualità di pensione per gli importi fino a 5 volte il trattamento minimo (TM) e addirittura un’intera annualità per quelli da 12 volte il trattamento minimo. 

E a perderci, anche nel 2019, sono i pensionati "paganti", cioè quelli che i contributi e le imposte le hanno pagate per tutta la vita e, quindi, dispongono di pensioni pari o superiori a 4 volte il trattamento INPS 2019, cioè 2.052 euro lordi al mese: questo perché le loro rendite non sono state adeguate all'inflazione al 100%, ma solo a una percentuale più bassa, in molti anni inferiore addirittura a quella prevista nel lontano 1997, a 5 anni dalla prima riforma targata Amato e a 2 da quella Dini che rimettevano ordine in un sistema pensionistico devastato da oltre 22 anni di uso sconsiderato delle pensioni. Quella norma prevedeva di rivalutare le rendite pensionistiche al 100% fino a 3 volte il TM, al 90% da 3 a 4 volte il TM e al 75% oltre tale importo. A quel tempo aveva una ragione, poiché il calcolo della pensione era totalmente retributivo (basato cioè sulle ultime annualità di lavoro e senza tener conto né di quanto versato né dell'età a cui un lavoratore si pensionava); oggi, a distanza di 22 anni, questa modalità di rivalutazione non è più giustificata, perché il calcolo della quota retributiva è molto più rigorosa e dall’1 gennaio 2012 la rendita è calcolata con il metodo contributivo.

Invece, seguendo il “populistico” esempio dei governi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni, anche il governo del "cambiamento", soprattutto sulla spinta del Movimento 5 Stelle, ha mantenuto (peggiorandolo per quelle più alte) il metodo di rivalutazione. Per gli "smemoranda" di sinistra, che ultimamente attaccano il governo su questo punto, si ricorda che dopo le mancate rivalutazioni del periodo 1992-1996, giustificate dalla fase di riforma del sistema pensionistico, tutto è iniziato proprio con il governo Prodi che, nel 1997, ha azzerato la rivalutazione delle pensioni di importo superiore a 5 volte il trattamento minimo, cioè pensioni nette da 1.430 euro circa, non proprio da nababbi. L'azzeramento si è protratto fino alla fine della legislatura, con i governi D’Alema e Amato. Si è ritornati alla normalità nel periodo 2001-2006 (governo Berlusconi), ma già nel 2008 la rivalutazione delle pensioni sopra 8 volte il trattamento minimo è stata azzerata, ancora dal governo Prodi; con il governo Berlusconi e fino al 2011, i pensionati hanno invece ricevuto la loro regolare rivalutazione sulla base della legge 388/2000, poi le cose sono precipitate con i successivi esecutivi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni.

In effetti, già dal gennaio 2017 si sarebbe dovuta riapplicare la legge 388, ma sia Renzi sia Gentiloni ne hanno prorogato il ripristino al gennaio 2019 per cui l'INPS, lo scorso anno, ha provveduto a pagare le rendite 2019 secondo la legge 388 ma, a questo punto, neppure il governo Conte ha resistito alla tentazione di usare il “bancomat” dei pensionati, per l’ennesima volta, rivedendo in modo peggiorativo rispetto alla 388 la perequazione per le pensioni superiori a 5 volte il trattamento minimo e rendendo necessario il ricalcolo ex post da parte dell’INPS, con relativa richiesta di rimborso a carico dei soliti noti. Ma veniamo ai numeri delle perdite.

Per il periodo 2006-2019, la perdita di denaro che i pensionati con rendite da 8 volte il trattamento minimo in su hanno accumulato fino a oggi (poi evidenzieremo anche le perdite che accumuleranno nei prossimi dieci anni di fruizione della pensione) è di quasi 100mila euro lordi, in pratica circa un’intera annualità per le pensioni da 19 volte il trattamento minimo, ma si evidenziano perdite consistenti anche per le fasce più basse. Consideriamo che una pensione di 8 volte il minimo nel 2006 corrispondeva a 44mila euro lordi all’anno, ossia circa 2.500 euro netti al mese per 13 mensilità, certamente non persone in difficoltà ma neppure propriamente un’élite.

Si prenda il caso di un pensionato che dal 2006 riceve 2.000 euro lordi al mese (26.000 all’anno). Anzitutto occorre notare che, se nel 2005, quando è andato in pensione, il trattamento minimo era 4,76 volte la sua pensione, oggi è di 4,50, il che vuol dire che un quarto di trattamento minimo se ne è andato nel tempo (circa 130 euro al mese). Facendo la somma delle varie perdite, dai 16,33 euro persi nel 2006 per salire fino a 73,72 nel 2011 e - per via della bassissima perequazione attuata dal governo Monti - schizzate a 700 euro, raddoppiati l’anno dopo, per poi aumentare progressivamente, ma in modo meno drastico, fino ai 1.700 di quest’anno, il pensionato del nostro esempio ha perso nel periodo circa dodicimila euro, ossia quasi la metà di un’annualità di pensione. Una situazione nella quale si trovano quasi un milione di pensionati con rendite da 1.600 euro netti al mese. 

 

Tabella 1 | Pensione di 2.000 euro mensili lordi pari a 26.000 euro annui liquidata nel 2005 (4,76 volte il TM INPS)

Tabella 1 | Pensione di 2.000 euro mensili lordi pari a 26.000 euro annui liquidata nel 2005 (4,76 volte il TM INPS)

Chiaramente, più alta è la pensione e maggiori sono le perdite. Chi nel 2006 prendeva 3.000 euro lordi (2.100 netti) ha perso nello stesso arco di tempo più del doppio, ossia quasi 30mila euro, cioè ben due terzi di una annualità di pensione; con 4.000 euro lordi al mese (2.800 netti)  ha perso poco meno di un anno intero di pensioni: 48.769 euro su 52mila euro annui. 

 

Tabella 2 | Pensione di 3.000 euro mensili lordi pari a 39.000 euro annui liquidata nel 2005 (7,14 volte il TM INPS)

Tabella 2 | Pensione di 3.000 euro mensili lordi pari a 39.000 euro annui liquidata nel 2005 (7,14 volte il TM INPS)

Tabella 3 | Pensione di 4.000 euro mensili lordi pari a 52.000 euro annui liquidata nel 2005 (9,51 volte il TM INPS)

Tabella 3 | Pensione di 4.000 euro mensili lordi pari a 52.000 euro annui liquidata nel 2005 (9,51 volte il TM INPS)

In questo esempio, a differenza dei due precedenti, si vede peraltro molto bene l’effetto della misura del governo Prodi nel 2008: se l’anno precedente la perdita annuale era di meno di 300 euro, con l’azzeramento della rivalutazione, è salita fino a più di 1.000 euro annui.

Con una pensione di 5.000 euro lordi mensili (3.400 netti) la perdita è ancora al di sotto dell’annualità, anche se molto vicina: 63mila euro lordi, solo 2.000 in meno del totale di 13 mensilità e, nel solo 2019, più di 8mila euro lordi persi rispetto a quanto avrebbero dovuto ricevere.

Tabella 4 | Pensione di 5.000 euro mensili lordi pari a 65.000 euro annui liquidata nel 2005 (11,89 volte il TM INPS)

Tabella 4 | Pensione di 5.000 euro mensili lordi pari a 65.000 euro annui liquidata nel 2005 (11,89 volte il TM INPS)

Infine, i casi di chi ha perso più di un’annualità: chi riceve 8.000 euro lordi di pensione al mese (5.200 netti) ha perso appunto più di un’intera annualità e, in soli 13 anni, ha ricevuto ben 105.640 euro lordi in meno di quelli che avrebbe dovuto ricevere, a fronte dei 104.000 euro lordi annui della sua pensione. Chi riceve 21,41 volte il trattamento minimo, ossia 9.000 euro lordi al mese (5.700 netti), ha perso quasi 120mila euro, e con 10.000 euro lordi al mese (6.400 netti), cioè quasi 24 volte il trattamento minimo, la perdita è stata di 134.000 euro lordi, 4.000 euro in più della propria annualità.

Tabella 5 | Pensione di 8.000 euro mensili lordi pari a 104.000 euro annui liquidata nel 2005 (19,03 volte il TM INPS)

Tabella 5 | Pensione di 8.000 euro mensili lordi pari a 104.000 euro annui liquidata nel 2005 (19,03 volte il TM INPS)

Tabella 6 | Pensione di 9.000 euro mensili lordi pari a 117.000 euro annui liquidata nel 2005 (21,41 volte il TM INPS)

Tabella 6 | Pensione di 9.000 euro mensili lordi pari a 117.000 euro annui liquidata nel 2005 (21,41 volte il TM INPS)

Tabella 7 | Pensione di 10.000 euro mensili lordi pari a 130.000 euro annui liquidata nel 2005 (23,79 volte il TM INPS) 

 

 

 

 

 

     

 

Ma non finisce qui perché se questi pensionati, come ci auguriamo, continueranno a percepire la pensione per altri 10 anni, diretta o di reversibilità, la perdita sopra evidenziata per ciascun importo di pensione, aumenterà vertiginosamente.

Tabella 8  |  Mancato adeguamento delle pensioni all'inflazione: la tabella riassuntiva

Un pensionato con una rendita mensile di 2.307 euro accumulerà una perdita che, considerando gli effetti delle future mancate rivalutazioni, sarà più che doppia rispetto al periodo 2006 - 2019; perdite che, oltretutto, aumenteranno all’aumentare dell’importo di pensione. Cifre sulle quali la politica dovrebbe riflettere molto, tanto più che dal prossimo anno l’80% dei potenziali pensionati avrà il 60% e più della rendita calcolata con il contributivo e quindi si porrà il problema della indicizzazione al 100%, cosa che peraltro si sarebbe dovuta fare anche in questi anni per la quota di pensione contributiva maturata dal primo gennaio del 2012. O i nuovi ripercorreranno le vecchie piste del “bancomat pensionati”?

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

elaborazioni a cura di Antonietta Mundo 

8/7/2019

 
 
 

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