Donne, denaro e risparmi: spunti per una previdenza al femminile

Spesso le categorie più restie ad aderire a una forma pensionistica complementare sono proprio quelle che avrebbero maggiori necessità di coperture integrative, e le donne non fanno purtroppo eccezione. Dati e spunti di riflessione per sensibilizzare la platea femminile ai possibili vantaggi del risparmio previdenziale

Mara Guarino e Melania Turconi

Come emerge da diversi studi e ricerche in materia, non ultimo l’ultimo Rapporto “Gli Italiani e il Risparmio” presentato da Acri e Ipsos in occasione della 97° Giornata Mondiale del Risparmio, gli italiani sono degli ottimi risparmiatori ma, anche attraverso le loro stesse scelte di portafoglio, palesano non di rado una scarsa educazione finanziaria e previdenziale, che si traduce in decisioni non del tutto coerenti con il proprio orizzonte temporale o i propri obiettivi di investimento

Una questione trasversale, ma che assume anche una connotazione di genere se si guarda ai dati: l'indagine condotta dalla Banca d'Italia all'inizio del 2020 sul livello di alfabetizzazione finanziaria degli italiani adulti conferma l'esistenza, nel nostro Paese, e in particolare nel Mezzogiorno, più che altrove, di un significativo gender gap, con gli uomini attestati - su una scala da 1 a 21 - su un punteggio complessivo di 11,44 rispetto al 10,95 delle donne. Non solo, gli uomini dichiarano tendenzialmente redditi più alti, maggiore interesse e padronanza dei concetti chiave della pianificazione finanziaria, e così via. 

Guardando al caso specifico del risparmio previdenziale, i numeri tratti dall’ultima Relazione annuale COVIP parlano altrettanto chiaro: su 8,4 milioni di iscritti alla previdenza complementare alla fine del 2020 gli uomini erano il 61,7% e le donne il 38,3% (percentuale comunque in leggera crescita nel tempo). La proporzione tra i generi si mantiene simile nelle diverse fasce d’età, con eccezione della classe che raggruppa iscritti con meno di 19 anni, formata soprattutto da familiari a carico, nella quale le donne toccano quota 45,2%, mentre si fa di nuovo piuttosto sbilanciata se si guarda all’interno delle diverse tipologie di fondi. Con un “misero” 27%, le donne risultano infatti particolarmente sottorappresentate nei fondi negoziali, mentre maggiore è l’equilibrio con gli iscritti uomini nel caso di fondi aperti (41,4%) e PIP (46,5%). 

 

Donne e pensione: tutte le alternative in gioco per il pensionamento 

Premesso che ormai da diversi anni l’età pensionabile per il pensionamento di vecchiaia è stata uniformata per entrambi i sessi, l’ordinamento italiano riserva alla platea femminile alcune piccole agevolazioni in virtù di un work-life balance complicato (anche da resistenze storiche e culturali), che si traduce spesso in una maggiore difficoltà a costruire lunghi nastri contributivi. Conoscere le diverse possibilità è quindi senza dubbio un primo passo per pianificare una quiescenza più serena. 

Se per quanto riguarda la pensione di vecchiaia – 67 anni di età e 20 di contributi o, in alternativa 71 anni di età e 5 di contributi – è previsto uno sconto di 4 mesi per ogni figlio avuto, fino a un massimo di 12 mesi, per le lavoratrici madri che ricadono nell’ambito del sistema di calcolo contributivo, leggermente più basso per tutte le donne è invece il requisito contributivo richiesto (a prescindere dall’età anagrafica) per il conseguimento della pensione anticipata. Fino al 2026 sono infatti richiesti 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. Restano invece validi tanto per gli uomini quanto per le donne, senza distinzioni particolari riguardanti il genere, i trattamenti agevolati previsti per lavoratori precoci e addetti a mansioni gravose o usuranti. 

Effettivamente su misura per il pubblico femminile è invece come dice il nome stesso, Opzione Donna che, a fronte di 35 anni di versamenti contributivi e 58 anni di età per le dipendenti (59 per le autonome), consente alle lavoratrici di lasciare in anticipo il mondo del lavoro: a una precisa condizione, spesso però penalizzante per l’importo della futura rendita, vale a dire l’intero ricalcolo della pensione con il metodo contributivo. Opzione sperimentale, e quindi non prevista strutturalmente dal sistema pensionistico italiano, è al momento valida per le sole donne che hanno maturato i requisiti utili al 31 dicembre 2020: la Legge di Bilancio ora al vaglio del Parlamento dovrebbe prevederne un’ulteriore proroga di un anno, senza peraltro inasprire il requisito anagrafico, per il quale la bozza della finanziaria inizialmente approvata da Consiglio dei Ministri prevedeva un innalzamento fino ai 60 anni di età. Vicina al rinnovo anche per il 2022 anche APE sociale, soluzione di anticipo pensionistico riservata ai lavoratori che si trovano in particolari situazioni di difficoltà che, a partire dall’1 gennaio 2018, prevede per le lavoratrici madri uno sconto nella maturazione della contribuzione utile pari 1 anno per ogni figlio, fino a un massimo di 2 anni. 

 

Il gender gap pensionistico tra falsi miti e realtà 

Se è quindi fuor di dubbio che le donne scontano storicamente maggiori difficoltà nel maturare lunghe contribuzioni, lo è altrettanto che quando si parla di numero e importi di pensioni “rosa” sono molte le false credenze da confutare.

Secondo l’Ottavo Rapporto curato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, nel 2019 le donne rappresentavano il 51,9% dei pensionati totali, percependo però solo il 43,9% dell’importo lordo complessivamente erogato per pensioni (168.884 milioni di euro sono pagati agli uomini e 132.023 milioni alle donne): sul totale delle prestazioni erogate – previdenziali, assistenziali e indennitarie – le donne percepiscono un reddito pensionistico medio pari a 15.857 euro, reddito che nel caso degli uomini sale invece a 21.906 euro. D’altra parte, tuttavia, le pensionate registrano solitamente un maggior numero di prestazioni pro capitein media 1,51 a testa contro le 1,32 degli uomini. Prevalgono in particolare nel caso di pensioni ai superstiti (87,2%) e di prestazioni prodotte da “contribuzione volontaria”, solitamente modeste a causa di bassi livelli contributivi: tutte ragioni per le quali beneficiano poi anche di importi aggiuntivi, integrazioni al minimo, maggiorazioni sociali, quattordicesime mensilità e altre misure di matrice assistenziale. 

Ecco dunque che affermare, come spesso accade tra politica e media, che le pensionate percepiscono prestazioni di importo inferiore agli uomini è sì corretto dal punto di vista formale ma non da quello sostanziale. Tanto più se si considera che la situazione del sistema previdenziale italiano non fa che riflettere l’andamento del mercato del lavoro il quale, malgrado segni di lento e progressivo miglioramento, si caratterizza tuttora – e ancor di più a seguito della pandemia di COVID-19, particolarmente severa nei confronti delle donne - per tassi di occupazione e livelli retributivi poco favorevoli alle lavoratrici e, dunque, alle pensionate. 

 

Per un miglioramento della condizione femminile: dal lavoro al risparmio consapevole 

Ancora una volta, allora, il vero tema è veicolare adeguatamente la questione affinché si comprenda che la soluzione al gap tra i generi non va ricercata all’interno del sistema pensionistico quanto piuttosto in un avanzamento della condizione lavorativa femminile, attraverso misure e servizi, come quelli all’infanzia o lo smart working, che riducano la discontinuità delle carriere. E se il mercato del lavoro è la vera causa (e appunto soluzione) del problema, è indubbio che le possibili contromisure da adottare passano però anche da una maggiore alfabetizzazione finanziaria e previdenziale, intendo appunto per previdenza la propensione a guardare al futuro tutelandosi da rischi e incognite. 

Ora, è vero che la più bassa partecipazione delle donne alla previdenza complementare si spiega in primo luogo con la loro minore presenza tra le forze lavoro, così come commentato dalla stessa COVIP. Lo è però altrettanto che, anche una volta entrate sul mercato, partecipano alla previdenza complementare con una propensione del 17% inferiore a quella degli uomini: divario in parte sempre imputabile a carriere più discontinue e salari più bassi, che possono generare dubbi sul regolare mantenimento di un piano pensionistico integrativo, ma che può in parte essere attribuito anche a una non totale consapevolezza dei benefici che ne potrebbero derivare. Soprattutto per una platea potenzialmente più vulnerabile al momento del pensionamento, a causa di posizioni lavorative flessibili e interruzioni contributive. 

Di qui allora, la necessità sempre più stringente di campagne informative volte a favorire l’adesione dei soggetti più "a rischio", tra cui proprio le donne, oltre a consigliare al meglio ai soggetti già iscritti alla previdenza complementare circa le proprie scelte di investimento. 

Mara Guarino e Melania Turconi, Itinerari Previdenzial

7/12/2021

 
 
 

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