I mutamenti nel mercato del lavoro e le ripercussioni sugli istituzionali

La maggiore flessibilità del mercato del lavoro e una rotazione occupazionale superiore rispetto a pochi decenni fa possono avere grandi conseguenze anche sulla previdenza di base e complementare: ci saranno cambiamenti anche per l'orizzonte temporale di investimento di Casse di Previdenza e fondi pensione?

Niccolò De Rossi

Quando si parla di occupazione, di mercato del lavoro, di prospettive future e di stabilità, l’associazione con il concetto di impiego di lungo corso è ancora abbastanza radicato nei pensieri di molti italiani. Probabilmente, però, se si intervistassero soprattutto le nuove generazioni, tale convinzione risulterebbe invece molto più sfocata e distante. Gli ultimi decenni, complici le grandi crisi finanziarie e non ultima quella pandemica ancora oggi in corso, hanno ridisegnato -  insieme alla “normale” evoluzione che da sempre esiste - un mercato del lavoro molto più flessibile, dinamico, in continua mutazione e in parte anche più precario.

In effetti, un giovane ha oggi davanti a sé un orizzonte di vita attiva, e quindi di versamenti contributivi, di almeno 40 anni. E, se una volta, la prima occupazione rimaneva nella maggior parte dei casi la stessa fino alla pensione (o, al massimo, si cambiavano 2 posti di lavoro in oltre 40 anni di carriera), oggi i cambiamenti produttivi, le riconversioni aziendali, le mutazioni nei bisogni e interessi degli stessi lavoratori disegnano uno scenario diverso: si cambia più spesso non solo occupazione ma anche tipologia di impiego. Non tutti i cambi di attività sono però volontari. Anzi, sempre più di frequente si concretizzano infatti periodi di inoccupazione per fallimenti/ristrutturazioni aziendali che comportano la riduzione del capitale umano impiegato.

dati provvisori elaborati dall’Istat per il 2020, anche a causa delle drammatiche ripercussioni economiche provocate da COVID-19, evidenziano una situazione complicata: il numero degli occupati è calato in Italia di 444.000 unità nel 2020 e il tasso di disoccupazione è salito al 9,0%, nonostante il blocco dei licenziamenti per motivi economici imposto dal governo ed esteso alla maggior parte delle categorie produttive. I giovani, con un tasso di disoccupazione che sfiora il 30%, sono insieme alle donne e agli over 50 le categorie che pagano il conto più salato. I mutamenti e le dinamiche che avvengono nel mercato del lavoro non impattano però solamente la condizione economica attuale dei lavoratori, ma condizionano anche la regolarità nei versamenti contributivi e, quindi, anche la futura sfera previdenziale. Per questo è opportuno prendere in considerazione anche le ripercussioni che tali cambiamenti hanno sugli enti erogatori di prestazioni pensionistiche e complementari. 

Che siano di primo o di secondo pilastro, gli investitori previdenziali hanno inevitabilmente un orizzonte temporale di lungo/lunghissimo periodo proprio perché il loro scopo è quello di erogare le pensioni. I cambiamenti nel mondo del lavoro hanno però un maggiore impatto soprattutto sui fondi pensione, in particolare quelli contrattuali, i quali, a fronte del cambio di occupazione del proprio iscritto (laddove comporti anche il cambio di settore) dovranno liquidare la posizione previdenziale accumulata per trasferirla al fondo previsto dal nuovo contratto di lavoro. Con un’uscita di risorse che deve essere necessariamente tenuta in considerazione a livello di sostenibilità patrimoniale, ma non solo. Gli aderenti, in determinati periodi della propria vita spesso legati alla propria situazione lavorativa, possono richiedere il riscatto di una parte del montante contributivo accumulato: periodi di inoccupazione, acquisto prima casa per sé o per i propri figli, spese sanitarie improvvise. Dinamica appunto accentuata da periodi di difficoltà e incertezza. Stessa cosa, anche se con modalità differenti, accade per le Casse di Previdenza dei liberi professionisti. Quest'ultime, seppur erogatrici di prestazioni pensionistiche di primo pilastro, si sono infatti sempre più evolute verso una approccio a 360 gradi al welfare, affiancando all'erogazione delle "pensioni" in senso stretto anche misure e servizi a sostegno dell’attività professionale, della genitorialità e, più ingenerale, a interventi che accompagnano l'intera attività lavorativa del professionista.

Dunque, per gli investitori previdenziali italiani un orizzonte temporale che potrebbe accorciarsi nonostante le condizioni dei mercati finanziari impongano sempre di più il ricorso a strumenti alternativi che necessariamente abbracciano il lungo periodo come coerente impego del capitale investito. Ciò malgrado, stando all’ultimo aggiornamento statistico di dicembre pubblicato da COVIP, le forme di previdenza complementare continuano a conseguire ritorni piuttosto interessanti, battendo sistematicamente, e soprattutto sul lungo periodo, la rivalutazione del TFR. 

Figura 1 - I rendimenti delle forme pensionistiche complementari al 31 dicembre 2020

Figura 1 - I rendimenti delle forme pensionistiche complementari al 31 dicembre 2020

Fonte: La previdenza complementare, principali dati statistici dicembre 2020, COVIP

Da un lato, quindi, le caratteristiche di un mondo del lavoro in evoluzione e che presenta caratteristiche che potrebbero aumentare la frequenza erogativa anche degli investitori previdenziali accorciandone l’orizzonte di impiego del patrimonio; dall’altro, invece, la necessità di impiegare le proprie risorse in investimenti coerenti con la finalità previdenziale e con la ricerca di rendimento di lungo periodo, così come le condizioni dei mercati di oggi impongono. Nel Convegno di Primavera che Itinerari Previdenziali organizzerà il prossimo 17 marzo si entrerà nel vivo della discussione e dell’importanza di riflettere su tutti questi temi, in particolare su quanto l’orizzonte temporale di riferimento di questi investitori potrebbe mutare (accorciandosi) rispetto al recente passato.

Niccolò De Rossi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

3/3/2021

 
 

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