Il DPI per i fondi pensione: istruzioni per l'uso

Per i fondi pensione il documento sulle politiche d’investimento rappresenta quello che, per le aziende, è il piano industriale: i contenuti del DPI riportano gli obiettivi che ciascun fondo si propone per i propri iscritti e il percorso d’investimento che si intende sviluppare per raggiungerli 

Nicola Barbiero

La centralità del DPI, rafforzata da quanto previsto dell’introduzione nella normativa italiana di IORP II, nella gestione di un fondo pensione inizia a essere evidente a partire dal 2012, quando la Covip (Commissione di vigilanza sui fondi pensione), tramite un proprio regolamento, prevede che ogni ente di previdenza complementare elabori il documento sulle politiche d’investimento e ne preveda l’aggiornamento su base almeno triennale: una tempistica, questa, frutto di un giusto equilibrio tra un orizzonte di medio lungo periodo (richiesto affinché le scelte di natura strategica contenute nel documento creino valore) e la velocità con cui i mercati finanziari evolvono e cambiano, anche radicalmente, direzione.

Per capire a fondo la ratio del documento, è possibile dividere il DPI in tre macro-capitoli: l’analisi dei fabbisogni, i criteri di attuazione della politica d’investimento e la descrizione dei soggetti coinvolti nella gestione del fondo pensione; in questo primo approfondimento si vuole porre l’attenzione proprio sul primo dei tre argomenti.

La platea di iscritti al fondo pensione rappresenta la base naturale a partire della quale iniziare l’analisi dei fabbisogni previdenziali, ma già in questo primo momento viene richiesta un'importante decisione strategica: come possono essere definiti i “fabbisogni previdenziali”?

Gli sviluppi della normativa di riferimento dei fondi pensione (si veda la RITA) e l’apertura verso possibili nuovi e diversi scenari per quanto riguarda la previdenza pubblica (anche sulla base delle decisioni del governo in materia) rendono più che mai difficile poter definire tale grandezza: come sempre, però, i momenti di incertezza nascondono interessanti opportunità. Quindi, ferma restando la necessità di analizzare la platea degli iscritti, ciascun consiglio di amministrazione non può dare una risposta unica a questa domanda: gli iscritti più vicini al pensionamento, infatti, avranno bisogno di un fondo pensione che permetta loro di mantenere, terminato il periodo lavorativo, lo stesso tenore di vita; i più giovani, invece, avranno bisogno di uno strumento flessibile che si adatti alle diverse esigenze e che permetta loro, nel caso, di uscire prima del mondo del lavoro senza, per questo motivo, essere penalizzati.

Il fabbisogno previdenziale difficilmente potrà essere individuato solo attraverso un “tasso di sostituzione”, ma dovrà considerare anche aspetti diversi - e, qui è l’opportunità - tali da contemperare le diverse esigenze presenti all’interno di una così ampia platea e capaci anche di dare risposte e alternative a tutti coloro i quali (che, purtroppo, rappresentano ancora la maggioranza) hanno deciso di non iscriversi a una forma di previdenza complementare.

Affinché il DPI non si trasformi allora in un mero esercizio teorico, il contenuto della prima parte del documento diviene il punto principale da cui partire lo sviluppo di una politica d’investimento che sia coerente e permetta di raggiungere gli obiettivi proposti. Allo stesso tempo, il modo in cui una forma previdenziale definisce i “fabbisogni previdenziali” rappresenta, continuando il parallelismo con il piano industriale di un’azienda, il valore aggiunto che l’ente si propone di raggiungere e, sulla base del quale, verrà del resto valutato e confrontato con altre forma di previdenza.

Nicola Barbiero

5/10/2018

 
 
 

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