Il DPI per i fondi pensione: governance e processo di gestione

Si conclude la serie di approfondimenti sul tema DPI (Documento sulle politiche d’investimento) dei fondi pensione con alcune considerazioni sull’ultima sezione di cui è composto il documento, momento in cui vengono descritti i soggetti che svolgono l’attività e la governance del processo di gestione 

Nicola Barbiero

Questa sezione risponde alla domanda “chi fa cosa”; o meglio, quali sono le funzioni all’interno dell’azienda “fondo pensione” che devono realizzare il business plan e creare il valore aggiunto descritto nella prima parte del documento. L’efficiente interazione tra questi è la chiave necessaria, ma non sufficiente (anche i mercati devono fare la loro parte) affinché gli iscritti trovino risposta ai loro fabbisogni previdenziali.

L’analisi dei soggetti e dei processi di governance, spesso, nella pratica e nella quotidiana operatività della forma pensionistica è ben conosciuta ma, come solitamente accade, la formalizzazione di questi aspetti diventa anche un momento di riflessione per valutarne l’adeguatezza nelle competenze e nella forma, ma non solo. All’interno di questa parte del DPI, il fondo pensione definisce sé stesso e valuta se la macchina che ha a disposizione è in grado o meno di raggiungere gli obiettivi definiti: una sorta di “auto due-diligence” nel corso della quale dare centralità ai punti di forza e cogliere l’opportunità per rendere più robusti gli aspetti non sufficientemente solidi. Un approccio necessariamente guidato dal buon senso ma, anche, dal recente sviluppo dalla normativa che vede lo sviluppo del fondo pensione passare attraverso una struttura adeguata; si vedano, in tal senso, le previsioni contenute nel DM 166/2014 e i punti cardine della IORP II (che, nei prossimi mesi, si capirà come verrà recepita all’interno del nostro ordinamento)

Nello sviluppo di questa ultima sessione verrà, quindi, definito una sorta di organigramma dell’ente in modo tale da identificare i soggetti che:

  • implementano l’attività necessaria per raggiungere l’obiettivo;
  • hanno compiti decisionali;
  • sono delegati a funzioni di controllo.

Nei primi rientrano, tipicamente, la funzione finanza (anche se internalizzata) e l’advisor da cui il fondo pensione può decidere di farsi affiancare (anche in relazione all’attività di risk management); in questa categoria rientrano, inoltre, i gestori finanziari (per i mandati attribuiti in delega) e i fondi mobiliari chiusi sottoscritti per il tramite della gestione diretta e, da ultimo, il soggetto a cui sono delegate le attività di depositario. A questa compete l’importante compito di verifica sul rispetto dei limiti d’investimento, statutari e normativi da parte dei soggetti a cui viene delegata la gestione.

L’aspetto decisionale è delegato, per Statuto, al Consiglio di Amministrazione che, per rappresentanza e modalità di elezione, è il naturale luogo deputato a tale funzione; in molti casi, e in particolare per materie di carattere finanziario, il CdA individua al proprio interno dei consiglieri che possano formare una Commissione o un Comitato con l’obiettivo di approfondire determinate materie fornendo al Consiglio degli orientamenti. Un processo, questo, adottato da molti fondi pensione e che ha il pregio di agevolare la discussione di alcuni temi velocizzandone il processo di analisi.

Il collegio dei sindaci e il controllo interno sono, di norma, i soggetti individuati alla funzione di controllo dell’attività del Fondo e alle verifiche sul rispetto delle previsioni normative a tutela, in modo particolare, degli iscritti.

La normativa in essere prevede che il fondo si doti di una struttura complessa e il rischio, nella quotidiana operatività, è che ciò porti a “ingessare” la struttura senza creare valore aggiunto per gli aderenti; un'adeguata definizione dei compiti e delle materie di competenza di ciascuna funzione permette di avere un punto di riferimento su cui fare affidamento.

In questi tre approfondimenti si sono dunque analizzate le caratteristiche del DPI: un documento che può essere letto come puro esercizio teorico da fare ogni tre anni per essere compliant alla normativa o come vero e proprio piano industriale di un fondo pensione che su base triennale misura i risultati raggiunti e adegua, se necessario, la propria strategia per il futuro affinché i propri iscritti abbiano a disposizione un abito fatto su misura per loro. Questo secondo approccio è quello della previdenza complementare che mi piace.

Nicola Barbiero

21/11/2018

 
 

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