Pensioni e gestioni, come stanno i conti della previdenza italiana?

Nonostante la spesa previdenziale italiana si possa dire complessivamente sotto controllo, alcune gestioni mostrano evidenti segnali di fatica: bene commercianti, dipendenti del settore privato, liberi professionisti e parasubordinati, in difficoltà artigiani e dipendenti pubblici. I dati dell'Ottavo Rapporto Itinerari Previdenziali in attesa di valutare gli scenari post COVID-19

Mara Guarino

Nel 2019 la spesa pensionistica relativa a tutte le gestioni previdenziali è ammontata - al netto della quota GIAS, la Gestione per gli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali - a 230.259 milioni di euro, facendo segnare rispetto all’anno precedente un incremento del 2,06%. Una variazione imputabile, secondo l’Ottavo Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano curato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, in parte alla rivalutazione delle rendite all’inflazione e, in misura maggiore, all’effetto rinnovo innescato dalla sostituzione delle pensioni cessate con quelle di nuove liquidazione, di importi mediamente più elevati. E che, soprattutto, non sposta il giudizio sulla tenuta del sistema previdenziale italiano che, seppur non senza elementi di criticità, a differenza di un’assistenza sempre più fuori controllo, sembra aver avvicinato quella condizione di stabilità che le ultime riforme (discusse o discutibili) in materia si proponevano.

All’interno di questo quadro tutto incoraggiante, almeno stando ai dati al 31 dicembre 2019, anno che ancora non sconta gli effetti della pandemia di COVID-19, meritano però di essere rimarcate alcune significative differenze tra le diverse gestioni, alcune delle quali vessano infatti in condizioni di pesante squilibrio. Nel dettaglio, sono solo 4 gestioni obbligatorie INPS che presentano un saldo positivo: il Fondo Pensione Lavoratori Dipendenti, con un consistente attivo di 20.186 milioni; quella Commercianti, con un attivo di 880 milioni; la Gestione dei Lavoratori dello Spettacolo (ex ENPALS), con 400 milioni e quella dei lavoratori parasubordinati, che presenta un saldo attivo di 7.391 milioni di euro. Con la sola significativa eccezione di INPGI, positiva anche la fotografia scattata alle Casse di Previdenza dei liberi professionisti che, beneficiando soprattutto di buon rapporto attivi/pensionati, vantano un saldo positivo complessivo di 3.843 milioni. 

Tra le gestioni che presentano disavanzi il più elevato è indubbiamente quello imputabile ai dipendenti pubblici: al netto dei 10.800 milioni del contributo aggiuntivo a carico del datore di lavoro Stato, ammonta infatti a 33.646 milioni di euro, in aumento rispetto ai 30.578 milioni registrati nel 2018. Per dimensione del passivo registrato seguono quindi il fondo ex Ferrovie dello Stato, i fondi ex INPDAI, la gestione degli artigiani e quella CDCM relativa ai lavoratori autonomi del comparto agricolo (coltivatori diretti, coloni e mezzadri). 

Nel complesso, l’apporto delle gestioni attive (32.700 milioni di euro) consente di contenere il disavanzo tra uscite ed entrate a quota 20.860 milioni: valore che riporta il Paese sui livelli del 2012, per quanto ancora più elevato della media registrata per gli anni Dieci del 2000. Senza queste poste attive, il deficit del sistema pensionistico italiano avrebbe raggiunto l’importo di 53.560 milioni. 

Figura 1 - Percentuale di finanziamento della spesa previdenziale per ogni singola contribuzione

Figura 1 - Percentuale di finanziamento della spesa previdenziale per ogni singola contribuzione

Fonte: Ottavo Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano Itinerari Previdenziali

Concentrandosi in questa sede soprattutto sull’INPS, che da sola rappresenta comunque circa il 96% del sistema pensionistico nazionale, vale quindi la pena di analizzare ulteriormente nel dettaglio l’andamento di alcune delle principali gestioni, anche allo scopo di farsi un’idea (alla luce dei dati 2019, ultimo anno disponibile per l’analisi) più precisa dei possibili scenari post-pandemici. 

 

I dati di dettaglio delle principali gestioni INPS 

Il totale dei fondi dei dipendenti privati presenta un saldo positivo di 6.341 milioni di euro confermando il netto miglioramento iniziato dal 2016 con un trend positivo delle entrate contributive, in verità accompagnato (sebbene in misura più contenuta) da un aumento anche delle prestazioni pensionistiche. In quest’aggregato, spicca indubbiamente il FPLD che, al netto delle contabilità separate degli ex fondi speciali confluiti al suo interno, rappresenta la gestione più importante del “comparto”, con oltre il 90% dei contribuenti e dei trattamenti erogati: come anticipato, per l’anno di riferimento il saldo previdenziale è positivo per 20,186 miliardi di euro, con entrate contributive per 129,113 miliardi - comprensive degli apporti della GPT e della GIAS per le contribuzioni figurative relative alle prestazioni di sostegno al reddito - e uscite per prestazioni pari a 102,66 miliardi. Un buon risultato complessivo, comunque condizionato negativamente proprio dagli ex fondi speciali, i cui disavanzi - soprattutto per le pensioni liquidate da più vecchia data che, ante riforme varie, hanno potuto beneficiare di disposizioni di legge più favorevoli - dipendono in buona parte dalle migliori prestazioni erogate agli iscritti rispetto alle FPLD. 

Al Fondo Pensioni dei Lavoratori Dipendenti fa da contraltare, in negativo, il disavanzo dei dipendenti pubblici: 33.646 milioni di euro, in aumento rispetto al 2018 (più come conseguenza dell’effetto sostituzione che dell’inflazione). Come spiegato dall’Ottavo Rapporto Itinerari Previdenziali, il quadro è in questo caso da considerarsi in evoluzione. Dopo che per diversi anni un sostanziale blocco del turnover nel settore pubblico ha determinato una riduzione degli attivi, in tempi più recenti si è assistito a una minore rigidità nella gestione del ricambio, con il risultato di un numero di attivi ormai costante dal 2015: mentre quindi le entrate si sono mantenute tutto sommato costanti, la spesa ha al contrario evidenziato un progressivo aumento, passando dai 66.871 milioni del 2015 ai 73.533 del 2019. Anno, quest’ultimo, sul quale pesa oltretutto la prima applicazione delle misure di flessibilità in uscita, in particolare Quota 100, cui le preannunciate assunzioni nel settore pubblico, molte delle quali ancora in itinere, non hanno fatto seguito con risultati apprezzabili. Stando alle ultime novità di cronaca, non a caso, allo studio del nuovo esecutivo anche piani e incentivi per agevolare il ricambio generazionale. 

Le gestioni degli artigiani e dei commercianti nel 2019 presentano invece complessivamente un disavanzo tra contributi e prestazioni di 2.325 milioni di euro, dato in peggioramento rispetto a 2016 (-2.260) e 2017 (1.996), ma migliore rispetto a quello 2018 (-3.047), da addebitarsi essenzialmente agli artigiani. Entrambe le gestioni hanno senza dubbio risentito degli effetti sia della crisi economica sia della legge 233/90 che, equiparando le regole di calcolo delle pensioni a quelle dei lavoratori dipendenti, ha in molti casi generato prestazioni molto generose e non coerenti con i contributi realmente versati. Tuttavia, mentre la gestione commercianti, grazie a nuovi iscritti operanti nei servizi e turismo - una dinamica che dal 2020 potrebbe essere seriamente compromessa dai lockdown e dalle altre misure di contenimento della pandemia - ha visto un miglioramento dei conti, quella artigiani perde ogni anno lavoratori attivi. L’effetto combinato del costante calo di lavoratori in attività e del continuo aumento dei pensionati, che hanno ormai superato il livello degli attivi, ha così prodotto un sensibile peggioramento della situazione contabile nonostante i vantaggi prodotti dalla cancellazione delle pensioni più vecchie, quelle che maggiormente avevano beneficiato di regole di calcolo favorevoli. Sull’altro versante, quello dei commercianti, prosegue di contro l’andamento positivo della gestione che, anche per il 2019, presenta un saldo positivo di 880 milioni di euro. Nel dettaglio le entrate contributive dalla produzione sono state pari a 10.885 milioni, in aumento rispetto all’anno precedente, mentre gli oneri per le prestazioni sono passati dai 9.936 milioni del 2018 ai 10.005 del 2019; restano invece sostanzialmente costanti il numero dei pensionati e quello degli attivi. 

Merita infine particolare attenzione la Gestione Separata, destinata alla copertura pensionistica dei cosiddetti lavoratori parasubordinati: gestione che, anche nel 2019, presenta un rilevante saldo positivo tra contributi e prestazioni, vale a dire 7.391 milioni di euro. Il dato è il risultato di 8.572 milioni di entrate contributive e soltanto 1.181 milioni di uscite per prestazioni, tutte peraltro calcolate con il metodo contributivo (un unicum tra le gestioni previdenziali INPS). Particolarità della gestione, avviata nel marzo 1996, è quella di essere particolarmente “giovane”, il che - tra le altre cose – ha per il momento generato pensioni di importo medio piuttosto contenuto e consente tuttora ai parasubordinati di beneficiare di un buon rapporto attivi/pensionati: basti del resto pensare che il numero delle prestazioni erogate è di 472.434, valore ancora assai modesto e soprattutto largamente inferiore al numero dei contribuenti (1.330.000). D’altra parte, tuttavia, secondo la pubblicazione curata dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, proprio il consistente aumento dell’aliquota contributiva nel tempo, a fronte di pensioni di importo piuttosto, contenuto dovrebbe indurre a riflessioni per il futuro, soprattutto con riferimento a una gestione alla quale si appoggiano molti lavoratori che fanno il loro ingresso nel mercato, spesso con rapporti di collaborazione non stabili. 

 

Quali i possibili impatti di COVID-19? 

Se, malgrado elementi di criticità, il 2019 può dirsi un anno positivo (quando non addirittura da record per molti indicatori di riferimento), per il 2020 sarà verosimile aspettarsi un piccolo grande scossone, legato all’impatto economico-finanziario di SARS-CoV-2. Allo "scadere" del blocco dei licenziamenti e della CIG con causale COVID-19, tenuto conto anche delle crescenti difficoltà degli autonomi per chiusure e lockdownè probabile infatti che l'Italia possa contare un milione di disoccupati in più: con inevitabili conseguenze anche per i conti INPS.

Le previsioni sono per il momento tutt’altro che rosee. Stando alle prime stime, il mix di anticipi pensionistici, sgravi contributivi e crisi pandemica che ha caratterizzato gli ultimi mesi dovrebbe infatti produrre aggravare i conti INPS. Per il 2020 il disavanzo, al netto dei trasferimenti dal bilancio dello Stato, dovrebbe dunque aumentare fino ad almeno 33 miliardi, per poi tornare a ridursi gradualmente a poco più di 25 nel 2023, a patto di riuscire nel frattempo a mettere in campo in tempi rapidi un piano vaccinale efficaci e interventi in grado di rilanciare produttività e sviluppo del Paese.

Mara Guarino, Itinerari Previdenziali

17/3/2021

 
 

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