Quota 100, davvero non conviene?

Le recenti considerazioni della stampa in materia di pensioni sembrano mettere in guardia da quota 100, per il fatto che l’anticipo comporterebbe una riduzione dell’assegno pensionistico fino al 30%. Ma davvero il pensionamento anticipato con quota 100 è una soluzione così sconveniente?

a cura di Michaela Camilleri e Mara Guarino - studio di Alberto Brambilla, Alberto Cauzzi e Silvin Pashaj

Le simulazioni riportate nel seguente articolo sono state realizzate dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali e Epheso srl. Lo studio è a cura di Alberto Brambilla, Alberto Cauzzi e Silvin Pashaj. 

Le notizie degli ultimi giorni sugli effetti della cosiddetta quota 100, nella sua ultima formulazione con 62 anni di età anagrafica e 38 anni di contributi, indicano una riduzione dell’assegno pensionistico che può arrivare anche al 30%. E questo dato sembra poter bastare per giungere alla conclusione che quota 100 non sia una soluzione conveniente. Ma è davvero così?

Dopo aver stimato l’impatto di quota 100 sulle finanze pubbliche per gli anni che vanno dal 2019 al 2028 come previsto dalla normativa vigente, quindi gli effetti macro sul sistema pubblico, il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali attraverso le simulazioni realizzate con il motore di calcolo Epheso evidenzia l’effetto di questa opportunità sulle prestazioni dei singoli lavoratori che optano per quota 100. Nelle elaborazioni sono stati presi in esami due profili, uno “retributivo” e uno “contributivo”, calcolando per entrambi le prestazioni attese con il pensionamento anticipato di quota 100 e con la decorrenza minima di vecchiaia prevista dalla normativa vigente, al fine di misurare la convenienza economica delle due soluzioni.

Profilo A – È il caso di un lavoratore dipendente nato il 2/08/1957 che ha iniziato a lavorare l'1 settembre 1977. Avendo accumulato 18 anni e 4 mesi di contributi alla data del 31/12/1995[1], la pensione verrà prevalentemente calcolata con il metodo retributivo (sono tutti i lavoratori dipendenti e autonomi che alla data di entrata in vigore della Riforma Dini avevano più di 18 anni di contributi). Ipotizzando al 2018 una retribuzione annua imponibile di 30.000 euro e un andamento reale di carriera dell’1,5% annuo oltre l’inflazione. Si riporta di seguito il raffronto sulle due soluzioni di accesso alla pensione basate ovviamente sulla stessa aspettativa di vita al pensionamento.

Prestazioni attese - quota 100 vs vecchiaia (metodo retributivo)

La pensione di quota 100 è effettivamente inferiore del 22,7% rispetto a quella che si avrebbe percepito senza l’anticipo e quindi all’età di vecchiaia tempo per tempo vigente. Ma se è vero che l’importo della pensione netta risulta inferiore per via del minor numero di anni lavorati e di contributi versati, la somma progressiva delle rate di pensione incassate nel caso dell’anticipo con quota 100 risulta più alta, rendendo così questa soluzione più conveniente rispetto alla pensione di vecchiaia sia considerando in negativo i contributi versati sia non considerando il costo del versamento dei contributi per la differenza di anni lavorati (si veda il grafico 1).

Considerando i contributi aggiuntivi (a valore negativo e quindi sottratti come importo al valore delle somme di pensione incassate) che il lavoratore avrebbe dovuto versare con il pensionamento di vecchiaia (ipotesi a) del grafico), la somma delle rate con quota 100 ammonterebbe a 407.354 euro mentre quella delle rate di pensione di vecchiaia sarebbe pari 342.688 euro. Ne risulta un vantaggio dell’anticipo del 18,9% e una convenienza nel 100% dei casi esaminati indipendentemente dal numero di mesi di anticipo.

Decidendo di lavorare 5 anni in più, si sarebbero versati a carico del datore di lavoro (per 2/3) e del lavoratore (per 1/3) la differenza tra 382.744,15 euro e 342.688,39 euro, ossia circa 40mila euro di contributi in più. Ma se anche non sottraessimo i contributi versati nei 5 anni, il vantaggio sarebbe pur sempre di un 6,4% e con il vantaggio, per molti non trascurabile, di lavorare ben 5 anni in meno.

Profilo B – Consideriamo ora il caso di un lavoratore dipendente nato sempre il 2/08/1957 che però ha iniziato a lavorare 1° settembre 1981. Avendo accumulato solo 15 anni e 4 mesi di contributi alla data del 31/12/1995, la pensione verrà prevalentemente calcolata con il metodo contributivo. Mantenendo le ipotesi di retribuzione, andamento di carriera e aspettativa di vita descritte per il profilo A, si riporta di seguito il raffronto sulle due soluzioni.

Anche per questo profilo quota 100 resta la soluzione più conveniente, seppure la % di riduzione dell’assegno risulti più elevata (27,2% rispetto al 22,7% del profilo A) proprio a causa del maggior peso che i contributi “mancanti” hanno nel calcolo contributivo ma soprattutto del coefficiente di trasformazione (il numero che trasforma i contributi in rendita) e che essendo legato all’età anagrafica, penalizza di più (si veda il grafico 2).

L'incidenza più marcata nella convenienza è data infatti dalla proporzione della quota calcolata col sistema retributivo: all’aumentare della quota contributiva, come è logico attendersi dalla metodologia di calcolo, il vantaggio tende ad azzerarsi.

Dalle elaborazioni proposte si evince dunque che la soluzione quota 100 ha una prevalenza netta di convenienza, anche nei casi in cui la decorrenza di quota 100 risultasse più prossima alla decorrenza di vecchiaia (con riduzione dell’anticipo che tende a ridursi dai 5 anni e 9 mesi a 0). Convenienza che tende a migliorare se si considera un altro aspetto che finora non abbiamo evidenziato, ossia la differenza tra pensione lorda e netta: una pensione lorda più alta come nel caso della vecchiaia implica un’imposta da pagare più alta mentre nel caso della quota 100 avere una pensione lorda inferiore potrebbe significare un cambio di scaglione IRPEF e quindi un’aliquota più bassa.

Concludendo, è certamente vero che l’importo delle pensioni anticipate con quota 100 sarà più basso rispetto a quello delle pensioni di vecchiaia, ma sarebbe un errore fermarsi al primo step; è la somma delle pensioni incassate negli anni che definisce, da un lato, il vantaggio per il lavoratore, e dall’altro il costo, non modesto, per il sistema pubblico. Infine un’ultima annotazione: quota 100 al momento non prevede alcuna penalizzazione; tutti i calcoli sono stati effettuati in base alle norme già vigenti.

Lo studio è a cura di Alberto Brambilla, Alberto Cauzzi e Silvin Pashaj (Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali – Epheso srl). 

La redazione del presente articolo è a cura di Michaela Camilleri e Mara Guarino.

15/11/2018


[1] Le legge Dini ha previsto il mantenimento del metodo di calcolo retributivo per i lavoratori con almeno 18 anni di anzianità contributiva alla data del 31/12/1995, l’applicazione del metodo misto (retributivo fino al 31/12/1995 e contributivo oltre quella data) e l’applicazione del metodo contributivo a tutti i nuovi assunti a partire dall’1/1/1996. Dall’1/1/2012, sulla base di quanto stabilito dalla Riforma Fornero, è previsto il metodo contributivo pro-rata per tutti.

 
 
 

Ti potrebbe interessare anche