Quota 100, parlano i numeri: e se non fosse un bene?

Gli aggiornamenti dell’INPS sulle richieste di accesso a Quota 100 pervenute all’Istituto testimoniano un successo della misura; eppure, un’analisi approfondita dei dati indica che qualcosa non torna…

Giovanni Gazzoli

A tre settimane dall’introduzione di Quota 100, le richieste di pensione anticipata avanzate in virtù della maturazione dei requisiti previsti sono quasi 53mila. È molto interessante analizzare le caratteristiche delle richieste di accesso alla misura prevista dalla Legge di Bilancio 2019 e perfezionata dal “decretone” del 29 gennaio scorso, sulla base dei dati forniti dall’INPS. 

Dall’analisi delle domande su base regionale e provinciale, la prima sorpresa. Se infatti, come evidenziato dal Sesto Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano, suddividendo il numero di pensioni per categoria e territorio, emerge che il 48,4% delle pensione di anzianità è erogato al Nord, il 29% al Centro e solo il 21,2% al Sud, ci si aspetterebbe per Quota 100 percentuali in linea con questi dati, facendo entrambe riferimento all’anzianità. Invece, la realtà è ben diversa. Sul totale nazionale di 52.918 richieste (dato aggiornato al 18/02/2019), ben il 42% proviene da regioni del Sud, mentre Nord e Centro si dividono equamente il restante 58%. In sostanza, se il centro Italia corrisponde, il Nord è dimezzato mentre il Sud è raddoppiato. Bisogna specificare che i dati riportati fanno riferimento alle richieste di Quota 100, e non all’effettiva concessione da parte dell’INPS, ma resta il fatto che il fenomeno è abbastanza diffuso e non isolato a qualche provincia. 

Distribuzione geografica domande Quota100

Fonte: Elaborazione Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali su dati INPS

Con molta probabilità, si tratta di lavoratori stagionali nei settori agricoltura e turismo, che vantano un’anzianità contributiva elevata (molti anni), ma caratterizzata da periodi di discontinuità lavorativa, come ad esempio lavoratori agricoli che prestano servizio per 51 o 101 giornate l’anno e che poi percepiscono forme di sostegno al reddito. Discorso analogo per i lavoratori dei servizi legati al turismo. Ma si potrebbe citare anche il caso dei lavoratori autonomi, che spesso hanno molti anni di iscrizione all’INPS, ma pochi contributi versati. Tutte categorie professionali per le quali  - dati i modesti importi delle pensioni a calcolo (per via dei modesti contributi versati) - si corre dunque anche il rischio di dover “integrare al minimo” le pensioni, con un ulteriore aggravio per la finanza pubblica. Senza poi considerare che, in virtù del “divieto di cumulo”,  è lecito attendersi un aumento del lavoro irregolare (già elevato) soprattutto al Sud, dove mancano grandi complessi industriali e le possibilità di lavoro “in nero” sono maggiori, ma anche nelle micro e piccole imprese del Centro e del Nord.  Ed ecco perché, venendo infine all’assunto secondo il quale a un pensionato che esce dal mondo del lavoro corrisponde un giovane che vi entra, le possibilità che quest'eventualità si concretizzi sembrano prossime allo zero.

La seconda sorpresa riguarda il numero elevato di lavoratori del pubblico impiego. Di tutte le richieste pervenute, ben 18.271 sono riferite alla gestione pubblica, ossia il 34,53%. Un dato incredibilmente alto, se si pensa che dei circa 23 milioni di occupati italiani solo poco più di 3 milioni sono dipendenti dello Stato (dato tratto dall’Annuario statistico 2018 della Ragioneria di Stato), vale a dire il 14%: meno della metà della percentuale di richiedenti Quota 100! C’è da dire che, quantomeno, in questo caso sarà più facile attuare una sostituzione elevata tra pensionati e giovani, come auspicato dal Governo, cui – in ultimo – spetta l’effettiva assunzione dei dipendenti pubblici.

Terza anomalia è poi l’alto numero di lavoratori autonomi richiedenti Quota 100. In generale, in base alla gestione, quasi due terzi dei richiedenti si distribuiscono tra lavoratori dipendenti (37%) e gestione pubblica (35%), seguono commercianti e artigiani (entrambi all’8%) e, via via, cumulo (5%), fondi speciali (5%), coltivatori (2%) e – quasi nulli – gestione separata e spettacolo/sport. Se si considera che i lavoratori dipendenti privati sono 13,5 milioni e gli autonomi circa 4 milioni (29%), è sorprendente trovare più di 9 mila domande di artigiani, commercianti e agricoli a fronte delle 19mila dei dipendenti (47%). Anche in questo caso sarà peraltro difficile una staffetta generazionale e, invece, molto più probabile una prosecuzione del lavoro in maniera non ufficiale, ad esempio intestando l’attività a familiari. Con il rischio, per l'appunto, che a un aumento del lavoro irregolare si sommi il danno potenziale alle finanze pubbliche derivante dalla necessità di integrare al minimo parecchie di queste pensioni. 

Fonte: Elaborazione Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali su dati INPS

E veniamo ora al dettaglio dell’analisi territoriale. La regione che ha avanzato più richieste è la Lombardia con 5.914 domande, seguita dalla Sicilia con 5.872 e dal Lazio con 5.856 (si tenga presente però che in Sicilia vivono circa 5 milioni di persone, contro i quasi 6 del Lazio e gli oltre 10 della Lombardia). In proporzione agli abitanti, le regioni che hanno avanzato più richieste sono Molise, Abruzzo e Sardegna; al contrario, quelle che ne hanno fatto meno richiesta (sempre in proporzione agli abitanti) sono il Trentino, la Lombardia e il Piemonte.

Tra le città, “vince” Roma con ben 4.092 richieste, seguita da Napoli (2.514) e Milano (2.027). Se però, ancora una volta, si confronta il dato assoluto con quello della popolazione, emerge che le province che hanno fatto “troppe” richieste sono Cagliari, Enna, Oristano e Nuoro, con la Sardegna che spicca in questa particolare classifica. Al contrario, sembrano “snobbare” la possibilità di accedere alla pensione anticipata i lavoratori che vivono a Monza (provincia più “virtuosa” d’Italia), Bolzano e Fermo.

Altro criterio di suddivisione adoperato dalle statistiche INPS è quello di genere: dei 52.918 richiedenti, ben il 76% è uomo, mentre solo il 26% è donna: una proporzione spiegabile con il fatto che, tradizionalmente, le donne fanno più fatica a maturare i requisiti di anzianità rispetto agli uomini, a causa – per vari ordini di ragioni – di una carriera lavorativa spesso più discontinua. E in effetti, il dato di Quota 100 sembra confermare ancora una volta di più questo assunto.

Considerando invece il fattore dell’età, emerge che il 47% dei richiedenti ha tra i 63 e i 65 anni di età, il 33% ne ha meno di 63 e il 20% più di 65. Il fatto che il 67% dei richiedenti abbia più di 63 anni mette nuovamente in allarme circa l’opportunità dell’introduzione del divieto di cumulo che, richiamando quanto già evidenziato dall'Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, spinge gli anziani che non intendono ritirarsi a vita privata a due opzioni: la frustrazione dell’impeto lavorativo o, più semplicemente, la propensione ad accettare lavoro irregolare.

Infine, una nota di carattere generale. Facendo un rapido calcolo, si evince, stando alle 53mila domande in tre settimane, che il numero settimanale di richieste pervenute - e qui bene specificare ulteriormente che non si tratta di quelle accettate - all’INPS  sia di circa 17.660: un numero molto alto, che potrebbe rivelarsi addirittura eccessivo, correndo a un ritmo difficilmente sostenibile per le finanze pubbliche.

Giovanni Gazzoli, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

21/2/2019

 
 
 

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