Se la "pensione rosa" si fa sempre più difficile

Dall'innalzamento dell'età pensionabile al mancato rinnovo dell'opzione donna, l'arrivo del 2018 ha riservato parecchie novità, e non sempre liete, alle pensioni "in rosa":  tutti i cambiamenti in arrivo per le lavoratrici che stanno per raggiungere la pensione

Leonardo Comegna

Non solo lavoro, ma anche previdenza sociale. Nonostante i positivi passi in avanti degli ultimi anni, le donne in Italia si trovano infatti ancora a dover colmare un significativo gap pensionistico rispetto agli uomini. Come riportato nell’indagine conoscitiva sulla disparità nei trattamenti di quiescenza elaborato dalla Commissione Lavoro della Camera la scorsa primavera, la percentuale di uomini coperti dal sistema previdenziale è pressoché completa, pari al 99,3%. Di contro, solo l’83,9% delle donne gode di tale copertura. Una differenza pari a 15,4 punti percentuali, più del doppio rispetto alla media europea, che si attesta intorno al 7%. Non solo, mentre un uomo intasca mediamente 1.654 euro, una donna ne riceve  in media 1.064, cioè 600 euro in meno, un’enormità. Esiste dunque una differenza di genere sostanziale, anche per quanto riguarda l’entità dell’assegno Inps.

Un amaro 2018 - Nel frattempo, però, la parità arriva sul fronte dell'età pensionabile. Da quest'anno, le donne  andranno in pensione più tardi: esattamente un anno in più se lavoratrici dipendenti, sei mesi più tardi se lavoratrici autonome. Tutto ciò è frutto della riforma Monti-Fornero del 2011, secondo il piano degli incrementi d'età verso il traguardo dei 67 anni fissato per l'anno 2021. Per la verità, il traguardo sarà raggiunto già dall'1 gennaio 2019 quando, per effetto della «speranza di vita» (già deciso con un decreto del 5 dicembre scorso),  tutti i requisiti saliranno di 5 mesi (biennio 2019/2020), salvo alcune eccezioni previste dalla legge Bilancio 2018.

Pensione di vecchiaia - Come è noto, per accedere alla pensione di vecchiaia occorre aver compiuto una determinata età ed essere in possesso di un minimo di 20 anni di contributi. La novità in vigore da gennaio 2018 riguarda appunto il requisito anagrafico che, già dall'1 gennaio 2016, è andato sempre peggiorando sia per l' incremento dovuto all’adeguamento demografico di 4 mesi sia per gli aumenti programmati dalla riforma Fornero. La "stangata", in particolare, riguarda le lavoratrici autonome (artigiane, commercianti e coltivatrici dirette) e le dipendenti del settore privato. Per le donne occupate nel  pubblico impiego, invece, i requisiti erano già stati maggiorati ed equparati dal 2012 a quelli degli uomini.

Nel 2017 queste lavoratrici potevano conseguire il diritto alla pensione di vecchiaia in presenza di un'età pari a:

  • 65 anni e 7 mesi per le dipendenti del settore privato;
  • 66 anni e 1 mese per le  autonome e le iscritte alla Gestione Separata Inps (collaboratrici e freelance);
  • 66 anni e 7 mesi per le  dipendenti del settore pubblico.

Dall'1 gennaio 2018 è tutto più difficile, per tutti, uomini donne, dipendenti (privati e pubblici) e autonomi. Il diritto alla pensione di vecchiaia, sempre in presenza di almeno 20 anni di contribuzione, si acquisisce solo a 66 e 7 mesi, con un incremento, rispetto al 2017, di un anno per le donne del settore privato e di 6 mesi per le autonome.

Pensione anticipata - La pensione di anzianità (o anticipata), quella che si poteva percepire prima del raggiungimento dei requisiti per la vecchiaia, praticamente non esiste più.  La riforma Monti-Fornero ha inasprito in misura piuttosto severa i requisiti necessari per lasciare il lavoro prima dell’età di vecchiaia. La manovra “Salva Italia” del dicembre 2011 ha infatti abbattuto il totem dei 35 anni di contributi che, pur con un’età via via più elevata, ha consentito per anni a centinaia di migliaia di donne di andare in pensione prima dei 60 anni. Non ha resistito nemmeno il muro dei 40 anni di contributi, considerato fino al 2011 come invalicabile e che dava diritto a incassare la rendita indipendentemente dalla carta d’identità. Dal 2012 il requisito contributivo è salito a 41 anni e un mese, limite che per via dell’adeguamento alla cosiddetta “speranza di vita”  ha ora raggiunto i 41 anni e 10 mesi. E, sempre per via dell’adeguamento demografico, nel 2019  si attesterà a 42 e 3 mesi. E così, se fino al 1995 per il pensionamento anticipato bastava raggiungere i 35 anni di contributi e basta, ora ne occorrono più di 42. Un traguardo decisamente più difficile, se non impossibile, da raggiungere per una donna.

La scorciatoia - Ma c’è anche una buona notizia che riguarda tutti, e non solo le donne. La Legge di Bilancio per il 2018 (art.1, comma 148, n.205/2017) ha sospeso il prossimo adeguamento alla speranza di vita (i 5 mesi) nei confronti dei lavoratori con almeno 30 anni di contributi:

  • che hanno svolto una delle 15 attività cd. gravose per almeno 7 anni negli ultimi 10 antecedenti al pensionamento, ovvero sono lavoratori che  risultano lavoratori addetti a mansioni usuranti o lavoratori notturni;
  • e non risultano titolari dell'Ape sociale (l’anticipo pensionistico agevolato), al momento del pensionamento.

Per tali soggetti, pertanto, nel biennio 2019-2020 il requisito anagrafico per la vecchiaia delle donne resterà pari a 66 anni e 7 mesi, mentre  il requisito contributivo richiesto per la pensione anticipata rimarrà fissato a 41 anni e 10 mesi.

Ape sociale donna - Avere un figlio consentirà poialle donne di andare in pensione un  anno  prima, ma solo a patto di rientrare nell’Ape sociale, il sussidio a carico dello Stato che accompagna alla vecchiaia chi ha raggiunto i 63 anni, può contare su un minimo di 30/36 anni di contribuzione e si trova in situazione di disagio economico.

La Legge di Bilancio 2018 conferma quindi, anche se in modo parziale, le promesse fatte dal Gavoerno ai sindacati per rendere meno pesante l’innalzamento dell’età previsto nei prossimi anni. Le lavoratrici avranno uno sconto sugli anni di contributi necessari per utilizzare l’Ape sociale: un anno  per ogni figlio, appunto. E fino a un massimo di 2 anni, cioè di due figli. Per le disoccupate, gli anni di contributi richiesti scendono quindi da 30 a 28. Mentre per le lavoratrici che svolgono attività ritenute “gravose” (15i  profili professionali interessati), come le infermiere o le maestre della scuola materna o dell’asilo nido, gli anni di contribuzione previsti passano da 36 a 34.

Niente opzione donna - Molte lavoratrici speravano in una proroga oltre il 2015, contando sull'ampia eccedenza di risorse stanziate, rispetto al reale numero di domande pervenute negli ultimi due anni. Il Governo non ha però accettato la possibilità di un' ulteriore prosecuzione volta a includere anche le nate dopo il 1958. Intanto, molte lavoratrici continuano a esprimere la propria rabbia nei vari gruppi social presenti in rete e attinenti la loro battaglia. Affiancati da un sponsor di tutto rispetto: l’ex ministro del lavoro Cesare Damiano, Presidente della commissione lavoro alla Camera nella legislatura appena conclusa. Una battaglia che verrà certamente ripresa subito dopo la consultazione elettore del  4 marzo. La parola al nuovo Parlamento.  

 

La salita dell'età pensionabile e quella pensione anticipata

Leonardo Comegna 

17/1/2018

 
 

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