Storia dei fondi pensione: strumento di equità e democrazia

La previdenza complementare ha alle spalle una storia più lunga di quanto si possa immaginare: se già l'imperatore Augusto aveva compreso l'importanza di un sistema di supporto per la retribuzione dei suoi veterani a fine carriera, la svolta nel nostro Paese - da sempre pioniere in ambito pensionistico - si è compiuta nel 1993 con la nascita dei fondi pensione così come li conosciamo oggi

Alex Ricchebuono

Già l’imperatore Augusto aveva intuito l’importanza di un sistema di supporto sociale, da un lato per la retribuzione dei suoi veterani a fine carriera, ma anche e soprattutto per tenere il popolo tranquillo quando siccità o carestie avessero inevitabilmente fatto salire il malcontento.

Tra le cose più importanti, riformò la “Cura Annonae”, legge che consentiva l’approvvigionamento della dose di grano necessaria al sostentamento giornaliero di una persona adulta, e concesse uno stipendium anche ai militari ormai in congedo. Un sistema di welfare integrato ante litteram, come si direbbe ai giorni nostri, che permise uno dei periodi di pace e prosperità più lunghi della storia dell’antica Roma, la celebre Pax Augustea. Ma fu Traiano, forse il più grande condottiero militare di tutta la storia Romana, ad allargare a fasce molto più ampie di popolazione questo sistema di supporto pubblico col plauso di intellettuali dell’epoca come Plinio il Giovane. Queste riforme permisero all’imperatore di portare alla massima estensione i territori sotto il suo dominio con ben oltre 4,5 milioni di chilometri quadrati. Dunque un sistema basato sul do ut des che consentì a Roma di crescere e prosperare non solo sulla base della forza militare, bensì attraverso il sostegno concreto ai suoi cittadini.

Pure la Cina sotto la dinastia Song, a partire dal 960 d.C, supportò molte riforme volte a garantire welfare a coloro che avevano servito l’impero nella loro vita, concedendo alloggi, cure mediche e piccoli appezzamenti di terra da poter coltivare una volta anziani. Le stesse grandi religioni monoteiste capirono l’importanza del supporto ai loro fedeli tramite sistemi integrati di servizi alla persona. Ne sono un esempio i Monti di Pietà e soprattutto gli istituti religiosi di educazione e finanziamento alle vedove, ai nobili decaduti ed alle persone bisognose di cure e di cibo. Dunque, il sistema pensionistico attuale altro non è che la logica evoluzione di intuizioni di natura sociale e politica che affondano le loro radici nella notte dei tempi. Ma per parlare di strutture organizzate e moderne bisogna arrivare alla fine dell’Ottocento quando, ormai in piena rivoluzione industriale, fu indispensabile istituire realtà solide e professionali per garantire un trattamento economico ai lavoratori in età avanzata. Tra le prime in Europa a creare un sistema di welfare fu la Germania del cancelliere di ferro Otto Von Bismarck, mentre i governatori liberali Henry Campbell-Bannerman e David Lloyd George introdussero poco più tardi la National Insurance in Inghiltarra. 

L’Italia in questo senso fu tra i pionieri in assoluto, già con alcuni degli Stati preunitari, come in Toscana e nel Regno delle Due Sicilie, dove esisteva un sistema pensionistico non solo per i militari ma pure per i lavoratori agricoli. Ad ogni modo fu dopo l’Unità che si mossero i passi più decisi in questa direzione. Già nel 1861 fu creata la cassa d’invalidità per la “gente di mare” inizialmente finanziata solo dagli equipaggi e non dagli armatori. Ma nel 1883 si vide un deciso salto di qualità grazie all’approvazione, tramite Regio decreto, della Cassa Nazionale per gli Infortuni sul Lavoro che si trasformerà nel 1933 nella celeberrima INAIL, che tuttora mantiene questa denominazione. Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento moltissime furono le riforme volte a garantire un miglior trattamento dei lavoratori, inclusa l’istituzione obbligatoria di un’assicurazione sugli infortuni e di un emolumento a fine del rapporto. Fu tuttavia durante il primo periodo fascista che si aprovarono le più significative riforme legislative previdenziali. Dapprima, col riconoscimento giuridico dei sindacati e la sottoscrizione della “Carta del Lavoro” nel 1927, e poi con la ratifica dei contratti collettivi nazionali e l’inclusione di clausole consistenti ed allargate, circa la mutualità e la previdenza. Negli anni tra il 1933 e ‘35 venne poi istituita l’INPS, insieme al TFR, agli assegni familiari e alla riduzione dell’orario di lavoro per sostenere la crescita demografica della popolazione. Putroppo nella seconda parte del periodo fascista si vedranno invece ridurre una quota consistente di queste conquiste sociali e sindacali a causa dell’entrata dell’Italia nel secondo conflitto mondiale e alla svolta autoritaria del Duce.

Sarà quindi dal periodo Repubblicano in poi che si tornerà a ragionare di welfare e supporto pensionistico in maniera moderna, con l’introduzione, nel 1952 della cosiddetta “pensione minima” e con l’obbligo da parte di qualsiasi datore di lavoro di aderire all’Assicurazione Sociale. Negli anni Sessanta, Settanta e poi Ottanta ci saranno alcune tra le più importanti conquiste sindacali, avallate dai vari governi della “Prima Repubblica”, per sostenere i lavoratori e per includere anche quelli autonomi al beneficio del trattamento pensionistico.

Dopo questa doverosa introduzione storica immergiamoci ora nella modernità. Dal 1993, con decreto legislativo n. 124 del 21 aprile dello stesso anno, vengono introtti in via definitiva anche in Italia i fondi pensione come li conosciamo oggi. Ossia forme di previdenza per l’erogazione di trattamenti pensionistici complementari al sistema obbligatorio pubblico. Con quella legge vennero creati due tipi di schemi: i fondi pensione chiusi, detti anche di categoria, e quelli aperti. I primi sono previsti appunto, per determinate categorie professionali, e possono derivare da un contratto, da un accordo collettivo o da un regolamento aziendale: è dunque intuitivo che vi aderiscono solo gli appartenenti al gruppo lavorativo cui si riferiscono questi accordi. Un esempio è il fondo pensione per il settore chimico-farmaceutico, denominato Fonchim, inaugurato nel 1997. Ma a questa categoria appartengono anche i fondi preesistenti alla legge del ’93 che erano stati in larga parte creati per i lavoratori di alcuni settori e, in particolare, di quello finanziario. Il fondo pensione è dunque un’entità giuridica riconosciuta, cui il lavoratore e la sua azienda si iscrivono in qualità di soci, versando contributi periodici definiti dalla contrattazione. Sono proprio i contributi a costituire il patrimonio stesso del fondo. Il compito di affidare, tramite procedura di gara pubblica, a gestori professionali, le proprie risorse spetta al Consiglio di amministrazione, coadiuvato da un comitato investimenti qualora necessario. I fondi pensione aperti invece, rivolti principalmente ai lavoratori autonomi e ai liberi professionisti, offrono soluzioni che possono essere personalizzate in base alle esigenze delle persone a cui si rivolgono. L’istituzione di un fondo pensione deve essere autorizzata dal ministero del Lavoro, in accordo con le autorità di vigilanza. Obiettivo di queste forme di previdenza è assicurare agli iscritti livelli di copertura previdenziale più alti rispetto a quelli che otterrebbero dall’INPS.

Ma come funzionano, esattamente, i fondi pensione? Vengono gestiti secondo i criteri della capitalizzazione individuale: ciò significa che la prestazione finale erogata, che in alcuni casi sostituisce o si va ad aggiungere alla pensione di anzianità, non è determinabile a priori, ma dipenderà dall’ammontare dei versamenti fatti, dal coefficiente di conversione in rendita stabilito contrattualmente, nonché dalla gestione finanziaria delle risorse. Per concludere questa breve ma non esaustiva disamina, è importante ricordare come i fondi pensione rappresentino la categoria di investitori istituzionali con il più lungo orizzonte temporale d’investimento. Questa peculiarità ha importanti risvolti dal punto di vista dei ritorni economici e del sostegno all’economia reale.

Ed è dunque fondamentale comprenderne il ruolo svolto nei mercati finanziari ed il loro impatto sullo sviluppo economico e sociale, con particolare attenzione alle scelte operate in momenti di crisi finanziarie generalizzate. Come diceva Henry David Thoreau “La solidarietà è l’unico investimento che non fallisce mai. E pensando ai tempi complessi che stiamo vivendo, le parole di G. K. Chesterton risuonano più attuali che mai: “Non soltanto siamo sulla stessa barca, ma soffriamo tutti dello stesso mal di mare.”

Alex Ricchebuono, Managing Director New End

9/10/2020 

 
 
 

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