Troppo giovani per la pensione
Secondo un recente rapporto Ocse, l'età alla quale gli italiani escono effettivamente dal mondo del lavoro sarebbe troppo bassa per garantire al sistema pensionistico stabilità di lungo periodo: l'organizzazione parigina compie però anche alcuni importanti errori di valutazione, soprattutto a proposito delle possibili "contromisure" da adottare
Il titolo, volutamente provocatorio, riprende lennesima critica mossa dallOcse al nostro Paese. Nellultima edizione del Pensions at a Glance 2019 si legge che, pur avendo unetà legale per laccesso alla pensione di vecchiaia pari a 67 anni, in Italia l'età effettiva di uscita dal mondo del lavoro si ferma a 63,3 anni per gli uomini e 61,5 per le donne. Troppo pochi, secondo lorganizzazione parigina, per garantire la sostenibilità del nostro sistema pensionistico. Sulla base di questi dati, il suggerimento è quello di aumentare l'età effettiva di pensionamento, limitando le forme di prepensionamento e applicando ladeguamento alla speranza di vita anche allanzianità contributiva (meccanismo previsto dalla riforma Monti-Fornero e successivamente bloccato fino al 2026 a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 e 10 mesi per le donne).
È senzaltro vero che lItalia, con i suoi 67 anni di età legale richiesta per il pensionamento di vecchiaia, si posiziona ai primi posti della classifica dei Paesi appartenenti allarea Ocse. Così come è altrettanto vero che letà effettiva di pensionamento è piuttosto bassa, ma per effetto delle molteplici opzioni di uscita anticipata introdotte in questi ultimi anni che hanno portato ad avere una vera e propria giungla pensionistica con regole diverse per ogni categoria: a partire proprio dalle otto salvaguardie, la prima delle quali sei mesi dopo il varo della riforma Monti-Fornero, per poi giungere, non potendo fare la nona salvaguardia, allanticipo pensionistico (APE) nelle sue diverse declinazioni, al blocco dellanzianità contributiva per i lavoratori precoci, allopzione donna e allattuale Quota 100. Tutte queste eccezioni hanno comportato luscita secondo le regole pre-esistenti alla Fornero per oltre 350mila lavoratori in soli 7 anni, a una media di 50mila lanno. Per Quota 100 e opzioni collaterali (opzione donna, precoci, APE sociale), nel 2019 lasceranno anticipatamente il lavoro altri 193.000 lavoratori, con un anticipo medio sui 67 anni di età di poco più di 2 anni.
Ma perché si sono rese necessarie queste misure? La tanto dibattuta Quota 100, ad esempio, malgrado non sia una risposta completa né sotto il profilo tecnico né dal punto di vista politico, ha comunque evidenziato la necessità di risolvere un problema vero, ossia leccessiva rigidità introdotta dalla Monti-Fornero. E qui sta il punto: quello che lOcse dovrebbe aver capito - si spera - sulla base della sua esperienza internazionale è che se si pone lasticella troppo alta (67 anni) o se si pretende di far lavorare oltre i 43 anni, i risultati sono questi. Unenorme spinta sindacale e sociale che la politica non riesce ad arginare.
Sono state più volte evidenziate le criticità di Quota 100: si tratta di una misura sperimentale di durata limitata nel tempo (2019-2021), che non tiene peraltro conto delle specifiche situazioni dei lavoratori, concedendo luscita anticipata a tutti coloro che soddisfano il requisito anagrafico e contributivo (62 anni detà e 38 di contributi), compresi quanti in assenza di particolari situazioni fisiche e familiari o estranei a lavori particolarmente gravosi e usuranti avrebbero di fatto potuto continuare a lavorare. Fortunatamente per i conti pubblici italiani, i beneficiari non saranno tra i 600mila e i 900mila, così come inizialmente stimato, e i costi molto probabilmente scenderanno dai 48,5 miliardi previsti nel decreto a meno 27 miliardi tra il 2019 e il 2027. Il grosso dei lavoratori con il sistema retributivo o misto bloccato dalla Fornero, che poteva approfittare di Quota 100 senza rimetterci molto, è infatti già uscito; a partire dal prossimo anno, invece, la maggior parte di coloro che potrebbe accedervi avrebbe almeno il 60-65% dellassegno pensionistico calcolato con il metodo contributivo, rischiando di perdere in media il 10% per lintera durata della pensione. E, infatti, gli anni medi di anticipo rispetto ai requisiti di legge ci dicono che siamo più vicini a Quota 103 che a Quota 100.
Tabella 1 - Pensioni liquidate con Quota 100: distribuzione percentuale dei pensionati per metodo di calcolo della pensione
Fonte: elaborazioni a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali
Come si diceva, dunque, tutte queste forme di pensionamento anticipato hanno evidenziato le problematiche di una riforma Monti-Fornero focalizzatasi solo sulla riduzione della spesa pensionistica senza neppure accorgersi (o, forse, sarebbe stato troppo impopolare?) che è la spesa assistenziale quella che sta aumentando pericolosamente. E lungo questa via la riforma si è rivelata fin troppo rigida soprattutto per i più giovani, i cosiddetti contributivi puri: per loro, laccesso alla pensione è previsto a 64 anni solo a patto di aver maturato un assegno pari a 2,8 il minimo (1.300 euro al mese), una soglia che - considerate le retribuzioni attuali - rischia appunto di escludere una grande fetta di giovani lavoratori, ai quali resterebbe come unica alternativa il pensionamento di vecchiaia a 71 anni (la soglia si abbassa a 1,5 volte il trattamento minimo al raggiungimento dei 67 anni di età).
Laltro grande errore della riforma del 2011 è stato proprio quello che oggi lOcse ci suggerisce di portare avanti: legare non solo il requisito di età anagrafica, ma anche quello dellanzianità contributiva allandamento della speranza di vita. Ma nessun altro Paese sviluppato si immaginerebbe di arrivare a oltre 45 anni di contributi necessari per accedere alla pensione come rischia di dover fare l'Italia nel 2040 se nulla cambia. Al contrario, la pensione anticipata andrebbe resa stabile e soprattutto svincolata dallaspettativa di vita e per i contributivi puri (quelli che hanno iniziato a lavorare nel 1996) dovrebbero valere le stesse regole di tutti gli altri lavoratori, integrazione al minimo compresa. Sarebbe poi utile, sul modello della Dini, prevedere per le donne madri un anticipo dei requisiti pari a 8 mesi per ogni figlio con un massimo di 24 mesi, mentre per i precoci ogni anno di lavoro fatto prima dei 19 anni dovrebbe valere 1,25 anni (ad esempio, con 4 anni di lavoro, dai 16 ai 19 anni, si ottiene lanticipo di 1 anno).
Insomma, una flessibilità in uscita è assolutamente necessaria a maggior ragione considerando che, a partire dal 2020, il 73% dei lavoratori - che aumenteranno al 95% nel 2022 - avrà gran parte della pensione calcolata con il metodo contributivo e, quindi, non costerà un euro di più alla collettività (solo il costo dellanticipo che si ammortizzerà nel corso dei successivi 10 anni). Del resto, non a caso, tutti i sistemi pensionistici che applicano il metodo di calcolo contributivo hanno la flessibilità in uscita. Ma, soprattutto, occorre concludere il ciclo delle riforme dando certezza ai cittadini con regole semplici e valide sia per tutti. Alla politica la risposta.
Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali
Michaela Camilleri, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali
16/12/2019