Università private, resiste la facoltà di contribuire di meno

Grazie a una legge del 1995, le università non statali versano allo Stato contributi inferiori del 7% rispetto alle statali. Eppure, i docenti godono dello stesso trattamento pensionistico

Antonio Prauscello

In questo periodo di innovazioni nel mondo della previdenza, non tutte apprezzabili, segnaliamo una perla risalente a diversi anni fa ma ancora attuale: si tratta del contributo che le università non statali versano per il personale docente di ruolo (Ricercatori, Associati, Ordinari) e che risulta complessivamente inferiore del 7% rispetto alla normale aliquota del 33% applicata dalle università statali per il proprio personale docente.

Considerato che la minor contribuzione risale all’ormai lontano 1995, si tratta certamente di considerevoli somme risparmiate; inoltre, a fronte del minor versamento, i docenti delle università non statali (sempre più numerosi negli ultimi anni per l’aumento degli insegnamenti e per il proliferare delle cosiddette università telematiche) sono iscritti alla C.T.P.S. (Cassa pensioni dei dipendenti statali) come i loro colleghi delle università statali e godono dello stesso trattamento pensionistico malgrado il versamentodi una contribuzione inferiore.

Come ciò è potuto accadere? Semplicemente perché dopo che una legge del 1991 (art. 4 della legge 243/1991) li ha equiparati ai dipendenti civili dello Stato, la cosiddetta legge Dini (n. 335 dell’8/8/1995) nell’aumentare al 32% (oggi 33%) la contribuzione per le Amministrazioni statali ha stabilito (art.2, comma 2) che “per le categorie di personale non statale i cui trattamenti sono a carico del bilancio dello Stato, in attesa dell’attuazione della delega di cui ai commi 22 e 23, restano ferme le attuali aliquote di contribuzione”.

In sostanza la legge ha rinviato (comma 22 del già citato art. 2) ad appositi decreti delegati la determinazione delle aliquote contributive a carico delle università non statali mantenendo quindi ferme le aliquote del 1995.

In attuazione del comma 22 sono stati poi emanati negli anni 1996/1997 cinque decreti legislativi per varie categorie (ad esempio, i dirigenti di aziende industriali allora iscritti all’INPDAI), ma in nessuno di essi sono state adottate norme di riequilibrio della contribuzione a carico delle università non statali per il rispettivo personale docente. Anche l’ultima delega di armonizzazione dei trattamenti pensionistici esercitata in forza della legge n. 335/1995 (decreto legislativo 30/4/1997), nulla ha disposto per l’allineamento della contribuzione tra docenti di università statali e non statali.

In definitiva, dall’ormai lontano 1995, nulla è stato fatto di ciò che doveva esser fatto e, cosa ancor più grave, ciò malgrado sull’argomento sia intervenuta la Corte dei Conti a Sezioni riunite in sede di controllo, la quale ha rilevato che il “trattamento del personale docente delle Università non statali, pur essendo stato equiparato a quello delle Università statali, non ha ancora previsto l’adeguamento delle aliquote contributive” (Audizione presso le Commissioni Bilancio di Camera e Senato del 30 agosto 2011).

Solo un piccolo esempio di come il sistema pensionistico continui a presentarsi a "macchia di leopardo", fenomeno pesantemente accentuato dalle recentissime “riforme”.

Antonio Prauscello, Comitato Tecnico Scientifico Itinerari Previdenziali 

4/3/2019

 
 
 

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