L'assistenza sanitaria integrativa prima e dopo COVID-19: quale futuro?

L'Ottavo Rapporto Itinerari Previdenziali offre un interessante quadro sullo stato di salute della sanità pubblica e complementare italiana: ancor di più alla luce dell'esperienza COVID-19, ampi i margini di crescita dell'assistenza sanitaria integrativa

Mara Guarino

Nel corso del 2019 gli italiani hanno speso più di 98 miliardi di euro (al lordo dei benefici fiscali) per integrare le prestazioni pubbliche per pensioni, sanità e assistenza. Di questo totale, secondo quanto evidenziato dall’Ottavo Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano curato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, il 45,9%  - pari a circa 45,22 miliardi di euro - riguarda spese per cure e assistenza sanitaria in forma sia diretta (out of pocket) sia intermediata (da fondi, casse sanitarie, etc); in ordine di grandezza seguono quindi i 33,98 miliardi destinati alla non autosufficienza tra assistenza domiciliare o residenziale, i 16,1 miliardi impiegati per la costruzione di forme pensionistiche integrative e i 3,242 spesi per protezioni assicurative individuali. 

Tabella 1 – La spesa totale per il welfare complementare e integrativo nel 2018 e nel 2019

 La spesa totale per il welfare complementare e integrativo nel 2018 e nel 2019

Fonte: Ottavo Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali
(si rimanda alla pubblicazione per approfondimenti sulle modalità di calcolo delle singole voci di spesa)

 

 

La spesa per sanità pubblica e privata in Italia 

Al netto degli interventi pubblici e delle agevolazioni fiscali, singoli e famiglie hanno sostenuto nel 2019 una spesa netta per pensioni, sanità e assistenza pari a circa a 77,3 miliardi di euro: valore che, se suddiviso per il totale dell’intera popolazione italiana, è pari a 1.263 euro annui pro capite. Dunque, anche tenendo conto della fiscalità e dei benefici previsti dalla normativa vigente, le proporzioni tra le diverse voci di spesa sostenute per il welfare complementare e integrativo non cambiano, con la spesa out of pocket a farla da padrona. Sarebbero infatti 36,175 i miliardi (dati dalla differenza tra i 40,205 di spesa lorda OOP e i 4,03 miliardi di benefici fiscali) che gli italiani hanno dovuto mettere di tasca propria per garantirsi cure e spese mediche, contro i 3,63 miliardi – 5,2 il valore lordo - imputabili invece alla cosiddetta spesa sanitaria intermediata. 

Numeri che indubbiamente obbligano a riflettere. Innanzitutto, nel confronto con la spesa per la sanità pubblica che è ammontata nel 2019 a 115,45 miliardi, vale a dire 1.886,50 euro pro capite (cifra verosimilmente destinata a crescere in modo significativo per effetto della crisi sanitaria scatenata da SARS-CoV-2). E, quindi, nella comparazione tra la quota OOP e quella invece ancora piuttosto esigua mediata da fondi sanitari e polizze assicurative. Detto altrimenti, cosa frena ancora il decollo della sanità integrativa italiana che, almeno sulla carta, offre soluzioni potenzialmente più vantaggiose dal punto di vista sia fiscale sia organizzativo del dover sostenere in via del tutto autonoma esami, visite specializzate o prestazioni socio-sanitarie di altra natura.

 

COVID-19 e il precario stato di salute della sanità italiana 

Una domanda che, se già prima della pandemia di COVID-19, si prestava a delle considerazioni tutt’altro che banali, diventa ancora più rilevante alla luce delle solo in parte inevitabili difficoltà evidenziate dal SSN allo scoppio dell’emergenza nuovo coronavirus. Procediamo quindi con ordine. 

Sicuramente, nel complesso, il Servizio Sanitario Nazionale è e resta un servizio sanitario di buon livello se raffrontato a quello di altri Paesi. Se, malgrado questo presupposto, già negli scorsi anni emergevano comunque alcune criticità come problemi sulle liste d’attesa, fenomeni di migrazione sanitaria, difficoltà di accesso a determinate cure e forme di assistenza e una non sempre efficiente gestione delle risorse, COVID-19 ha fatto deflagrare questi e altri problemi, tra cui l’assenza di un vero piano di contenimento pandemico, la progressiva riduzione nel tempo dei posti in terapia intensiva in rapporto alla popolazione e l’indebolimento della sanità territoriale e dell’assistenza (specie se domiciliare) ai cittadini più anziani. 

Tutti ambiti nei quali, stante la difficoltà per lo Stato di incrementare le risorse finanziarie destinate dall’Italia al proprio welfare pubblico, l’assistenza sanitaria integrativa può intervenire proficuamente. A patto però di non agire in un’ottica dualistica, cui peraltro sembravano rimandare alcune proposte in arrivo dalla politica riguardanti il divieto di erogazione per i fondi sanitari di prestazioni extra-LEA, bensì nella prospettiva di un’autentica sinergia pubblico-privato. 

 

In quale direzione va l’assistenza sanitaria integrativa?

In effetti dopo una fase di iniziale disorientamento, pur giustamente demandando al Servizio Sanitario Nazionale la gestione dell’emergenza vera e propria, molti attori della sanità integrativa sono intervenuti a sostegno dei propri iscritti, attraverso una serie di coperture e prestazioni specifiche legate a COVID-19: indennità per ricovero e per isolamento domiciliare, contributi per servizi assistenziali e post ricovero, rimborsi per prestazioni mediche, prestazioni diagnostiche e infermieristiche effettuate a domicilio, teleconsulto medico, e così via. 

Per lo più, dunque, misure di sostegno ex post, rivolte ai soggetti direttamente colpiti dal nuovo coronavirus o agli assicurati che hanno subito perdite economiche, cui si stanno affiancando e si affiancheranno nel tempo soluzioni di assistenza continua sempre più innovative (telemedicina, device di monitoraggio a uso domestico, call center attivi h24, etc). Esempi che appunto rilanciano il ruolo dell’assistenza sanitaria integrativa sia nell’offerta di un supporto concreto ai cittadini aderenti sia nell’alleggerimento del carico che grava sul sistema pubblico, sotto pressione già ben prima dello scoppio della pandemia soprattutto a causa degli effetti socio-sanitari del progressivo invecchiamento della popolazione italiana. 

Si torna così al punto di partenza, vale a dire l’ancora limitato ricorso a soluzioni di sanità intermediate da fondi sanitari, società di mutuo soccorso e Compagnie di Assicurazione a fronte degli oggettivi vantaggi che potrebbero derivare dall’adesione a una di queste soluzioni. Quali le ragioni? 

Se ancora pesano - esattamente come per la previdenza complementare -  resistenze di tipo culturale, a non giovare è soprattutto la mancanza di una vera e propria legge quadro in materia: di qui, l’urgenza enfatizzata dallo stesso SARS-CoV2 di una chiara e definitiva regolamentazione del comparto secondo una logica di maggiore integrazione con il SSN, attraverso attività di coordinamento delle rispettive azioni, così da ottimizzare al massimo attività dei professionisti, strutture, utilizzo della strumentistica e convenzionamenti. Definire maggiormente i confini – interni ed esterni - della sanità intermediata e agire a livello normativo per appianare alcune delle lacune e delle disuguaglianze che tuttora la caratterizzano (si pensi ad esempio alle disparità in termini di benefici fiscali) sembra allora la strada da seguire per conquistare quegli spazi che la pandemia ha purtroppo segnalato come ancora purtroppo scoperti e quindi da riempire. 

Mara Guarino, Itinerari Previdenziali

5/5/2021

 
 

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