RSA, dopo la tempesta è ora della quiete?

Con l'abbassamento della diffusione del contagio, anche la situazione nelle Residenze Sanitarie Assistenziali sta progressivamente tornando ai livelli di guardia: con la fine dell'emergenza COVID-19, dunque, si apre il periodo del ritorno alla normalità, ma anche quello in cui – alle indagini per appurare eventuali manchevolezze e responsabilità – sarà necessario affiancare la pianificazione del futuro

Giovanni Gazzoli

Finita la fase dell’emergenza, è tempo per le RSA di ripartire. Per evitare il ripetersi di quanto successo nei mesi scorsi, urge da una parte fare chiarezza sulle cause che hanno portato a una così alta diffusione del virus in luoghi che ospitavano i soggetti più deboli, dall’altra combinare il ritorno all’attività pre COVID-19 con la necessità di sviluppare soluzioni alternative e complementari.

La ripartenza è affidata a direttive che si differenziano a seconda delle regioni, a volte anche delle singole residenze. Prendendo in considerazione tre tra le regioni maggiormente colpite dal virus: in Piemonte, si raccomanda la sanificazione delle strutture, percorsi separati, accessi singoli, tamponi e test sierologici periodici, riorganizzazione degli spazi in tre categorie (positivi, negativi e negativizzati), visite solo su appuntamento in sale dedicate, nuovi ingressi solo per soggetti con evidenza di tampone negativo nelle 72 ore precedenti; il Veneto ha lasciato autonomia alle singole strutture su quando riaprire, pur attenendosi a linee guida molto rigide, rese necessarie dai 600 decessi su 1.900 complessivi: i nuovi ingressi saranno sottoposti a tampone prima e dopo un isolamento di 14 giorni, mentre i visitatori avranno la temperatura corporea controllata all’ingresso, che avverrà in base a scaglionamenti, e potranno incontrare i loro cari in spazi dedicati e con distanziamento sociale mediante plexiglass; infine la Lombardia, che per bocca dell’assessore Gallera ha affermato che "riprendiamo la riapertura delle RSA con delle regole molto rigide: nessun positivo verrà collocato all'interno di una RSA e verrà invece messo in una struttura sanitaria"; inoltre, a “qualunque anziano vorrà entrare in una RSA gli verrà fatto a domicilio sia il test sierologico che il tampone".

Ma, come detto, non sarà sufficiente il “ritorno alla normalità”: bisognerà ragionare su cosa si può migliorare.

Il punto di partenza è la constatazione di Vittorio Demicheli, direttore dell’ATS di Milano che ha svolto un’indagine sulla mortalità nelle RSA del capoluogo lombardo e della provincia di Lodi, che afferma: «I requisiti di accreditamento per le RSA valorizzano la loro capacità di favorire la socializzazione, anche con spazi adeguati. E proprio queste strutture ora fanno più fatica a contenere il contagio. Bisogna fare una riflessione per il futuro su questo segmento di assistenza». Nel momento in cui – come successo in questi mesi – l’esigenza di socializzazione si scontra con la difficoltà di proteggere e isolare i soggetti deboli e fragili, è evidente che ospitare nello stesso posto una fascia di popolazione che al suo interno ha caratteristiche ed esigenze molto diverse diventa un problema da risolvere.

Per cogliere la segmentazione di quelli che, per comodità, chiamiamo Senior, sono presi in considerazione diversi criteri, che si dividono in socio-demografici, comportamentali e psicografici. Per quanto riguarda i primi, si prendono in considerazione dati come l’età, lo stato di salute, il reddito e il patrimonio, il percepimento della pensione o dei redditi da lavoro, la zona di residenza, e altro; i secondi invece si appellano all’esperienza di vita del soggetto, dalle sue conoscenze alle sue attitudini; infine, i terzi considerano interessi, valori, opinioni, stili di vita e motivazioni. È evidente che, tenendo in considerazione tutti questi fattori, il mondo degli over 65 si fa incredibilmente sfaccettato, e ancor più difficilmente adatto a essere ristretto in modelli di residenza che prevedono – per la maggior parte – una cadenza di attività quotidiane piuttosto standardizzata e limitata.

Per questo una prima soluzione potrebbe essere quella di offrire soluzioni residenziali che siano strutturalmente diverse a seconda del “segmento Senior a cui sono rivolte: non semplici moduli all’interno della stessa struttura, ma spazi abitativi con spazi, servizi, ospiti e strumentazioni radicalmente diversi. Si pensi ai Silver ancora nel pieno delle loro energie psico-fisiche e con a disposizione redditi e patrimoni ingenti, desiderosi di esperienze e socialità spesso accantonate durante la vita lavorativa: per queste persone, ad esempio, è possibile pensare ad una convivenza con i giovani, favorendo la socialità inter-generazionale ed evitando una “ghettizzazione” che scoraggia la vita attiva dei più anziani. Al contrario, ci sono i cosiddetti “grandi anziani”, tra i quali troviamo moltissime persone totalmente non autosufficienti, la cui necessità risiede prettamente in un’assistenza sanitaria continua, spesso condizionata dalla presenza di più patologie, che richiedono servizi e strumenti sanitari specializzati, oggi difficilmente reperibili nella maggior parte delle RSA.

A monte, però, c’è un altro servizio, quello dell’assistenza domiciliare, che con agevolazioni e sostegno alle spese potrebbe rinviare la necessità di un “ricovero” in RSA, per il beneficio economico e psicologico dell’anziano e della famiglia intera. Non è un mistero infatti che molti anziani soffrono il distacco dalla loro abitazione, nella quale lasciano ricordi e affetti per essere trasferiti in luoghi a loro estranei, a prescindere dal confort e dalle attività offerte dalle strutture. Dal punto di vista economico, invece, considerando il solo ricorso alle cosiddette “badanti” (sommando regolari e irregolari), il Settimo Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano a cura del Centro Studi e Ricerche di Itinerari Previdenziali quantifica una spesa per le famiglie di circa 27 miliardi di euro; a questi si aggiungano le spese per tutti i beni e gli strumenti necessari alla vita quotidiana dell’anziano, da quelli per l’igiene personale a quelli più tecnologicamente sofisticati. Di contro, per quanto riguarda invece il ricorso alle RSA, ipotizzando una retta mensile media di 2.000 euro si arriva ad una spesa totale di circa 7 miliardi di euro (considerando circa 300 mila residenti in RSA). Incentivi economici, sviluppo della telemedicina e offerta di beni e servizi dedicati: sono alcune delle soluzioni che aiuterebbero il settore dell’assistenza domiciliare, andando incontro alle famiglie e riducendo la necessità di un ricorso al ricovero in RSA.

Il terzo passaggio è quello del coinvolgimento di soggetti specializzati, quali Compagnie di Assicurazione, Fondi e Casse sanitarie, aziende attive nel settore sanitario, che possono trarre grande beneficio investendo nella Silver Economy: l’incremento di servizi alla persona e di beni adatti ai consumi degli anziani è cruciale per non abbandonarli alla solitudine, colmando il gap che li separa da una vita pienamente o parzialmente attiva. È chiaro quanto sia necessario il ruolo della sanità integrativa, che possa alleggerire il carico che pesa sul sistema pubblico.

In sostanza, la pandemia da COVID-19 ha reso ancor più evidente la necessità di sviluppare servizi e soluzioni su misura per una larga fetta di popolazione, che va ampliandosi sempre di più e – con lo sviluppo della tecnologia e l’allungamento della vita in buona salute – diventa sempre più variegata al suo interno. Mediante la collaborazione tra pubblico e privato, oltre al coinvolgimento degli investitori istituzionali, è dunque ora di ripensare ai servizi resi alla persona, all’abitare, al commercio in ottica Silver Economy: qui si gioca anche il futuro del sistema delle RSA.

Giovanni Gazzoli, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

18/6/2020 

 
 
 

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