I piani life-cycle come incentivo per le adesioni alla previdenza complementare

Gli aderenti potenziali ai fondi pensione di categoria sono ancora molti: la diffusione dei piani life-cycle potrebbe incentivare un maggior numero di lavoratori a dotarsi di una pensione integrativa?

Niccolò De Rossi

Nel 2019 i fondi pensione saranno chiamati ad adeguarsi alle novità introdotte dalla normativa europea IORP II, in particolare a livello di governance e investimenti ESG. Per quanto riguarda invece la Legge di Bilancio 2019 non c'è traccia di grandi cambiamenti e, come peraltro successo anche per le precedenti, di provvedimenti volti a incrementare l’adesione alla previdenza integrativa e, in particolar modo, a quella contrattuale.

Facendo riferimento ai dati COVIP, a fine 2017 gli iscritti a forme di previdenza complementare hanno sfiorato gli 8 milioni di unità (con qualche duplicazione relativa a lavoratori iscritti contemporaneamente a più forme) in aumento di circa 150 mila unità su base annua. Prosegue in particolare il trend di crescita che però è dovuto in buona parte all’introduzione del meccanismo di adesione contrattuale posto in essere da alcuni fondi pensione negoziali. Ad ogni modo se consideriamo che, a fine 2017, i lavoratori erano poco superiori ai 23 milioni, gli iscritti ai fondi pensione sono circa il 30% del potenziale dei lavoratori attivi (da tenere in considerazione, peraltro, una parte di non versanti). Da questi pochi numeri si comprende come la quota di lavoratori privi di previdenza integrativa sia ancora elevata. Le strade percorribili certamente non mancano: se la politica stenta a fare la sua parte, serve evidentemente un ulteriore sforzo da parte dei fondi stessi e da chi costantemente promuove l’educazione finanziaria e previdenziale. Un’ulteriore possibilità potrebbe consistere nell’introduzione, anche da parte dei fondi negoziali, che fino ad ora hanno dimostrato scarso interesse in tal senso, dei cosddetti piani life-cycle.

 

Le “inefficienze del mercato”

I fondi pensione negoziali italiani sono basati sul regime a contribuzione definita. Ciò significa che il montante accumulato alla maturazione dei requisiti di accesso alla prestazione sarà generato dalla consistenza dei contributi versati durante l’intera vita lavorativa al fondo, dall’onerosità dello stesso e dal livello di rendimento prodotto. Come evidenziato più volte anche dalla COVIP, scelte “scorrette” del comparto cui destinare i propri contributi potrebbero portare a un’insufficienza di risorse nell’ultima parte della propria vita. In molti fondi infatti, il comparto di default cui l’iscritto viene collocato se non esprime alcuna preferenza è quello garantito, caratterizzato da una rischiosità estremamente contenuta e adatto in particolar modo a soggetti già prossimi al pensionamento. Inoltre, si evidenzia come un’elevata percentuale di lavoratori, anche in giovane età, destini i propri contributi a comparti con garanzia, comportamento "inefficiente" soprattutto sotto il punto di vista finanziario. In effetti un giovane iscritto dovrebbe generalmente optare per il comparto che presenta una rischiosità elevata per poter beneficiare di un rendimento atteso maggiore, poiché eventuali perdite potranno essere compensate nell’arco dell’intera vita lavorativa. Si dovrebbe quindi iniziare con una partecipazione più dinamica, riducendo l’esposizione al rischio azionario all’avvicinarsi della quiescenza.

La relazione COVIP 2017 sottolinea poi che una buona parte degli iscritti tende a permanere nel comparto di ingresso e a non modificare il proprio portafoglio nel corso della vita contributiva, rinunciando in alcune fasi a migliori rendimenti, e incorrendo in potenziali perdite in altre. Da ultimo, ma non per importanza, i lavoratori potrebbero essere scettici, complice una bassa educazione finanziaria, nell’aderire alle forme di previdenza complementare: da un lato, perché spaventati dall’andamento dei mercati finanziari di cui non comprendono appieno le dinamiche di base e, dall’altro, perché effettivamente non conoscono la contenuta rischiosità della contribuzione a un fondo pensione che, tutt’altro, è che qualcosa di estremamente rischioso.

 

I piani life-cycle

Le caratteristiche di un piano life-cycle potrebbero, almeno in parte, attenuare le “inefficienze del mercato” appena evidenziate. Tale modello previdenziale è basato appunto sul ciclo di vita caratterizzato da una fase iniziale di investimento rivolta verso asset più rischiosi, per diminuire gradualmente nel tempo, beneficiando dell’effetto di capitalizzazione degli interessi maturati in precedenza e mettendo dunque al “sicuro” il capitale accresciuto negli anni. Il tutto viene effettuato secondo uno schema di ribilanciamento predefinito del portafoglio. A intervalli di tempo prestabiliti, vi sarà quindi un'automatica variazione dell’asset allocation (o, meglio, il passaggio tra i vari comparti previsti dal fondo) che terrà ovviamente in conto l’età di ingresso dell’aderente per disegnare un percorso coerente con il suo ciclo di vita. Questo tipo di “standardizzazione” di investimento potrebbe sollevare da una responsabilità più concettuale che operativa il lavoratore in procinto di aderire alla previdenza integrativa. In qualche modo si potrebbe dunque sentire “rassicurato” nel sapere che la sua esposizione al rischio finanziario venga regolata a monte ed essere così “esonerato” da possibili decisioni che, invece, dovrebbe prendere durante il periodo di contribuzione. Verrebbe così almeno in parte mitigato il rischio per il mancato switch tra i comparti che, in effetti, viene spesso difficilmente messo in pratica. A onor del vero, ciò potrebbe rappresentare una criticità del piano life-cycle: se il passaggio dal comparto più rischioso a quello meno dinamico avvenisse in un momento in cui la componente di rischio è in perdita, sarebbe più difficoltoso recuperare in seguito la perdita capitalizzata.

Ciò nonostante, potrebbe valer la pena prevedere l’adozione di piani basati sul life-cycle come comparti che accolgano coloro che non ne specifichino uno desiderato. Ciò non rappresenterebbe di certo la chiave di volta per avere in breve tempo un'impennata delle adesioni, ma potrebbe appunto essere una delle strade percorribili. Inoltre, con il tempo, ogni fondo pensione potrebbe rendere sempre più modulabile il modello per l’aderente più informato, pur mantenendo quella caratteristica di “automazione” di cui può beneficiare il lavoratore meno esperto. Prevedere inoltre un'informativa ad hoc per gli aderenti al fondo di categoria il quanto più possibile semplificata, che ne illustri però puntualmente il meccanismo di funzionamento, potrebbe rappresentare un ulteriore incentivo per incrementare la diffusione della previdenza integrativa di cui il Paese ha estremamente bisogno.

Niccolò De Rossi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

11/1/2019

 
 
 

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