Europa, se ci sei batti un colpo!

Tra chi grida "più Europa" e chi invece più o meno sommessamente vorrebbe ridefinire le regole dell'Unione diventa spesso difficile trovare mediazioni o posizioni conciliatorie, e lo è ancor di più in un momento di crisi globale che richiede decisioni coraggiose

Niccolò De Rossi

Ciò che l’Italia e il resto del mondo stanno vivendo è “solo” l’ennesimo momento difficile. L’instabilità, l’incertezza e le difficoltà soprattutto economiche che eventi di simile portata generano non possono essere trascurate. Lasciando agli esperti il dibattito sugli aspetti sanitari, a differenza di ciò che è stato visto e vissuto in passato per le crisi della bolla di Internet o dei mutui tossici americani, l’attuale contagio colpisce solo indirettamente la finanza, evidenziando invece i maggiori effetti su consumi e produzione. Dopo la Cina, ecco allora toccare all’Italia, avanguardia europea non solo nella diffusione del virus e nelle relative misure prese per frenarne la diffusione, ma soprattutto nell’attuare provvedimenti economici straordinari. La chiamata alla responsabilità da parte del governo e la risposta positiva della maggioranza dei cittadini è una buona dimostrazione di quanto il Paese poggi su capisaldi che troppo stesso vengono dimenticati. L’epoca del romanticismo però è finita da tempo e, proprio per questo, bisogna accantonare i sentimenti e affrontare la condizione attuale dal punto di vista più strettamente economico. È il mondo globalizzato e fortemente interconnesso che lo richiede. 

L’Italia ha dunque varato un decreto (Cura Italia) che servirà a sostenere imprese, lavoratori ed economia nel complesso attraverso lo stanziamento di 25 miliardi di euro, liquidità necessaria per aiutare un sistema produttivo fortemente colpito e che rischia di bloccarsi. Pochi? Tanti? Giusti? Il tempo lo dirà, perché la contingenza testimonia che si naviga a vista e il peso delle decisioni da prendere, tanto in termini di prevenzione quanto di spesa, non possono e non devono essere dettate esclusivamente pensando al rispetto delle regole europee. Le priorità adesso sono altre. Si ha però la percezione, oggi più che mai, della forte contrapposizione interna all’UE tra la linea del rigore dei Paesi del Nord e la richiesta di rivedere i margini di flessibilità che suggeriscono quelli del Sud. La sintesi non è facile da trovare. E a tali condizioni è difficile immaginare un’Europa in cui ogni Paese avrà davvero lo stesso peso.

L’attuale contesto è allora la “scusa” per analizzare se e quanto l’Unione possa davvero definirsi tale, non solo a livello politico, ma soprattutto economico. In prima battuta infatti le poche, frettolose e disordinate misure che sono state prese dalla BCE sembravano confermare come sia ancora ben lontana una UE che supporti davvero le nazioni che ne fanno parte e altrettanto lontana una coesione economica che tuteli i rispettivi interessi nazionali. La conseguenza è stata inevitabilmente un marcato ribasso dei mercati, delusi dalle misure adottate e dalle parole poco “rassicuranti” di Christine Lagarde. Al contrario, a pochi giorni di distanza, quando è tornato a tuonare il bazooka della BCE, è avvenuto il prevedibile rimbalzo dei mercati azionari, con il differenziale tra Btp e Bund che ha ripiegato sotto quota 200 dopo aver sfondato la soglia dei 300 punti base. Segnale di quanto gli operatori finanziari non aspettassero altro che parole fortemente rassicuranti dall’istituto. Ma andando oltre e proponendo un esercizio di astrazione dal caso particolare (Covid-19) e guardando al generale, c’è una considerazione che è bene cercare di approfondire: il ruolo che i mercati finanziari hanno non solo in momenti di crisi ma anche in condizioni di “normalità”, e soprattutto il loro legame con le iniziative delle banche centrali come questi giorni hanno dimostrato

La finanza mondiale, rappresentata spesso come qualcosa di astratto, lontano e difficilmente identificabile ai più, ha dimostrato al contrario di essere più che mai composta da individui, piccoli e grandi risparmiatori che si servono dei mercati per investire il proprio risparmio. I ribassi di queste settimane ben lo testimoniano. Al netto delle prese di profitto e delle speculazioni dei grandi fondi di investimento, a cui per altro gli istituti di vigilanza dei singoli Paesi stanno ponendo rimedio attraverso interventi mirati a contenere la volatilità, il crollo dei mercati finanziari ha intaccato i risparmi di milioni di persone. Ciò significa che gli investitori temono fortemente le conseguenze dell’evento inaspettato, dimostrano avversione al rischio e si tutelano vendendo asset rischiosi e rifugiandosi nella liquidità. Non sono quindi solo le banche o i grandi investitori che perdono denaro, ma anche i semplici risparmiatori subiscono consistenti perdite che intaccano, a volte, un risparmio accumulato nel tempo.

Per completezza d’analisi c’è però un altro elemento che va considerato e che influenza enormemente le dinamiche del mercato. Guardando al recente passato, gli ultimi 10 anni sono stati caratterizzati da un elemento che ha accomunato grandi e piccoli investitori, che ha innescato un concreto cambio di visione nella finanza stessa. In piena crisi del debito sovrano ci sarà infatti una frase, pronunciata dell’allora numero uno della BCE, che muterà radicalmente la maggior parte delle regole che fino ad allora avevano guidato le decisioni della finanza mondiale. Quel “Wathever it takes”, pronunciato in un momento di grande difficoltà, ha aperto la stagione del denaro a basso costo, dell’intervento massiccio delle banche centrali attraverso diversi programmi di politica monetaria, ma soprattutto ha innescato una forte dipendenza tra le scelte degli operatori finanziari e le decisioni degli istituti monetari centrali. Un legame questo che fa da spartiacque per il mondo finanziario e che, negli anni successivi, si è rivelato fin troppo stretto. 

Il trend dei mercati azionari degli ultimi anni ne è la dimostrazione più evidente. Con la maggior parte del fixed income che offre una remunerazione prossima allo zero se non su scadenze molto lunghe o per emittenti poco affidabili, l’andamento del mercato dell’equity ha beneficiato della ricerca di rendimento da parte degli investitori. Nei momenti di tensione, e quello attuale ne è un’altra dimostrazione, ecco allora che gli investitori sono lì alla finestra ad aspettare il pronunciamento delle banche centrali, pronti a recepire quei pochi e positivi annunci sufficienti però a stimolare l’appetito dei compratori e innescare lunghe sessioni di buy anche quando i fondamentali economici non sono tali da giustificare una tale euforia. La forte dipendenza tutt’ora esistente tra mercati e politiche monetarie è una relazione complicata ed è forse arrivato il momento che si riduca, lasciando più spazio a eventuali shock fiscali che i singoli Paesi potrebbero adottare, Europa permettendo.

BCE, FED e le altre banche centrali farebbero bene, soprattutto in momenti difficili, a ricordare come le misure adottate e soprattutto gli annunci che vengono fatti hanno un impatto molto importante sull’umore dei mercati finanziari e, dunque, sui risparmiatori. Farebbero bene a ricordare che la finanzia non è lo spread, non sono le piazze finanziare di Wall Street, Milano, Londra o Pechino, non sono linee tracciate per formare grafici e dare corpo a numeri verdi o rossi. I mercati sono i soldi dei risparmiatori, la liquidità delle imprese, gli impieghi delle banche attraverso cui può essere erogato credito alle famiglie. Insomma, sono qualcosa che va fortemente tutelato per il bene collettivo. 

Più Europa? Meno Europa? Un’Europa a metà? Difficile dirlo, ma forse c’è bisogno di fermarsi e riflettere sul funzionamento del sistema nel suo complesso. Chissà se la situazione attuale, nella sua gravità, può essere davvero l’occasione per farlo.

Niccolò De Rossi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

25/3/2020

 
 
 

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