Investimenti e produttività: gli ingredienti per la crescita del Paese

Gli investimenti a favore dello sviluppo devono tornare a crescere e possono farlo anche attraverso quegli asset “alternativi” che sono di supporto all’economia reale del Paese

Niccolò De Rossi

Qualunque sarà la conclusione del confronto tra l’esecutivo gialloverde e l’Europa - giudicato dagli analisti come una delle maggiori fonti di rischio - i piccoli e grandi risparmiatori, i Fondi Pensione, le Casse di Previdenza e, in generale, tutti gli operatori di mercato guarderanno con attenzione ai mutevoli scenari economici per formare le proprie view di investimento.

Mentre il 2017 si è rivelato, come peraltro previsto, un anno anticipatore delle nuove condizioni di mercato, il 2018 ha confermato, soprattutto per gli investitori istituzionali italiani, che le tradizionali asset class non sono più sufficienti per conseguire rendimenti in linea con i principali benchmark di riferimento (media quinquennale del PIL, inflazione, rivalutazione del TFR). Le performance risentono infatti ancora dei bassi tassi di interesse sul mercato obbligazionario, da sempre primaria fonte di rendimento a basso rischio, e di una volatilità che si è dimostrata discontinua, ma crescente durante il corso dell’anno. Se è vero che “i rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri”, serve lucidità nell’affrontare le sfide che verranno, e l’Italia ne ha molte davanti. Prima su tutte quella che, da ogni dove, viene cercata e quasi invocata a gran voce, la crescita. Che però non si crea dall’oggi al domani. Va costruita attraverso una visione ben definita e di lungo periodo, e certamente non con provvedimenti di corto respiro.

 

Il contesto macroeconomico

A livello europeo il 2018 sarà il quinto anno di crescita consecutivo, con circa 12 milioni di posti di lavoro creati dal 2014, un tasso di disoccupazione tornato sui livelli pre-crisi e una crescita degli investimenti del 6% nello stesso periodo[1]. Permangono tuttavia alcuni fattori di debolezza, a cominciare dal gap di investimenti tra il livello pre e post crisi.

Va poi considerato che le differenze di crescita all’interno dell’Europa rimangono marcate: le ultime previsioni economiche pubblicate dalla Commissione Europea restituiscono una puntuale fotografia della differenza nella performance dei vari Paesi. Se, da un lato, c’è un’Irlanda che cresce oltre il 7% nel 2018 (c’è da dire che presenta un sistema fiscale attrattivo per molte multinazionali), dall’altro soffrono i Paesi del Sud – quelli più colpiti dall’ultima crisi – e in particolare l’Italia, che chiude la classifica con una crescita prevista dell’1%.

Inoltre, a ben vedere, le tensioni commerciali internazionali, il graduale aumento dei tassi di interesse conseguenti alla conclusione delle politiche monetarie espansive (ampiamente iniziate negli Usa e prossime per l’Europa), l’impatto della Brexit e la ritrovata volatilità sui mercati finanziari sono solo alcuni dei fattori di incertezza che incideranno sul prossimo futuro. Ogni Paese avrà dunque il compito di intercettare le tendenze dei singoli mercati interni, di confrontarsi con lo stato di salute - non solo attuale, ma soprattutto prospettico  - della propria economia, di saper avere una visione organica di sviluppo e mettere in campo riforme strutturali per sostenere la crescita.

 

Un’Italia che cresce poco

Aspettando il testo definitivo della Legge di Bilancio che conterrà gli effettivi numeri delle misure adottate per il prossimo triennio, vi sono pareri contrastanti sull’effettiva spinta che il governo ha riservato agli investimenti. Che l’Italia cresca poco, o meglio non abbastanza, non è una grande scoperta tantomeno se confrontata, come visto, con gli altri Paesi della zona Euro.

Se è vero che le ripercussioni della crisi hanno certamente condizionato il livello di produttività dell’economia italiana, lo è altrettanto che la condizione di bassa crescita perdura da più tempo, con livelli di investimento non in linea con i competitor europei tanto sotto il punto di vista quantitativo quanto su quello qualitativo.

Come evidenziato dall’intervento di Banca d’Italia all’ultimo convegno di fine anno di Itinerari Previdenziali, l’Italia presenta gli stessi tassi di crescita della produttività da più di 20 anni. La crisi certamente ne ha acuito le ripercussioni, generando non solo una riduzione dello stock di capitale a disposizione, ma anche un capitale “invecchiato” e dunque poco competitivo. Già negli anni Novanta il Paese cresceva meno della media UE ed evidenzia tutt’oggi un ritardo soprattutto nello sviluppo tecnologico, dato che contribuisce a confermare la storica caratteristica dimensionale delle imprese italiane.

Il quadro è ulteriormente complicato dalla nota iper dipendenza, soprattutto delle PMI, dal finanziamento tramite il canale bancario. Ciò limita fortemente la visione di reperire risorse aggiuntive attraverso canali alternativi, ovvero tramite quegli strumenti che investono appunto nell’economia reale del Paese. È anche e soprattutto per questo motivo che l’ingente quota di risparmio privato, che da sempre rende solidi i fondamentali dell’economia italiana, ma anche di risparmio previdenziale che alimenta i patrimoni degli investitori istituzionali, dovrebbe essere diretto verso il sostegno a imprese, territorio e infrastrutture.

Ma, attenzione, perché agire solo da un lato del mercato (quello dell’investitore) può diventare controproducente. Cresce infatti l’appetito di Fondi Pensione e Casse di Previdenza per questi investimenti e, di conseguenza, verso gli strumenti messi a disposizione dal mondo dell’asset management: queste masse finanziarie devono però trovare anche solidi riscontri nella disponibilità di investimento. Numero e dimensione delle imprese investibili devono essere congrui alle risorse finanziare messe in campo. In definitiva, riuscire a sostituire almeno in parte il finanziamento a debito tramite gli istituti bancari con alternative che già esistono, consentirà di dirigersi verso il superamento del gap di produttività evidenziato.

Per ritrovare la “crescita perduta” occorre quindi acquisire la consapevolezza che esecutivo, investitori privati e istituzionali, e imprese stesse devono compiere uno sforzo di sistema per innovare produttività e sviluppo. In conclusione, l’Italia ha bisogno di adeguatezza e appropriatezza di impiego delle risorse  per ottenere le ricadute economiche e sociali che mancano da tempo e tornare così a competere tra le “grandi d’Europa”.

Niccolò De Rossi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

29/11/2018 


[1] Dati elaborati dalla Commissione Europea, presentati in occasione del Convegno di Fine anno di Itinerari Previdenziali del 28.11.2018

 

 
 

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