La riforma fiscale tra necessità e demagogia del consenso

L'Italia è davvero un Paese oppresso dalle tasse? I dati più recenti - quelli relativi alle dichiarazioni 2019 - raccontano una realtà più complessa, nella quale il grosso del carico fiscale grava sul 13% di contribuenti con redditi dai 35mila euro in su, mentre quasi 1 italiano su 2 dichiara di non guadagnare nulla: impossibile non tenerne conto per una riforma del sistema fiscale davvero equa ed efficace

Alberto Brambilla

Redistribuzione della ricchezza, lotta alle disuguaglianze, riduzione del carico fiscale sui redditi da lavoro e “diritti” (mai che capiti una citazione del sostantivo "doveri"): sono le parole ricorrenti della nostra politica in perenne clima elettorale o di cambio di governo. Tutto in un Paese dove, da almeno 25 anni, manca un progetto, ma si promettono soldi e bonus a tutti, per la gran parte a debito, cioè a carico di quelle giovani generazioni che gli stessi partiti - ormai svuotati di qualsiasi aggettivazione tra destra, sinistra, liberali, socialisti - vorrebbero proteggere. 

La necessità di una riforma fiscale con particolare riguardo alla riduzione dell’IRPEF è ormai diventata un tema di stretta attualità anche per il nuovo esecutivo guidato da Mario Draghi e la parola d’ordine sembra essere “progressività”. In effetti, la pressione fiscale è alta per il combinato di imposte dirette e indirette ma è anche falsata da oltre 160 deduzioni, detrazioni, bonus, che azzerano le imposte ai più e accentuano la progressività a quelli che le tasse le pagano davvero. A parte le ideologie e le demagogie, che non hanno mai portato a buoni risultati, è possibile ridurre le tasse sul lavoro e per la classe media, e fino a quali redditi? È vero che siamo un popolo oppresso dalle tasse? E, infine, come si coniuga una riduzione delle imposte con la nostra altissima spesa sociale e assistenziale? Insomma, se riduciamo le tasse chi pagherà il generoso welfare

 

Le dichiarazioni dei redditi ai fini IRPEF 

Sulla base dei dati MEF, elaborati dal Centro Studi Itinerari Previdenziali, analizziamo i redditi relativi al 2018 (ultimo anno disponibile), dichiarati nel 2019: ne esce la fotografia di un Paese diverso e meno oppresso da quello narrato dalla politica e dai media. Intanto, su 60,36 milioni di residenti in Italia a fine 2018 i contribuenti dichiaranti sono 41.372.851 ma i versanti - cioè quelli che pagano almeno 1 euro di IRPEF - sono 31.155.444 (oltre 400mila in meno rispetto al 2011). Quindi, quasi la metà degli italiani (29,204 milioni pari al 48,38%) non ha redditi e vive a carico di qualcuno: una percentuale atipica per un Paese del G7, dove per il solo gioco d’azzardo gli italiani attingono ogni anno a 127 miliardi ogni anno, di cui 110 regolari secondo l’Agenzia delle dogane e dei monopoli e almeno 20 irregolari, "investiti" in circa 210mila locali tra ricevitorie, sale da gioco, bingo, scommesse, slot, e così via. Insomma, più soldi e più locali dell’intero Servizio Sanitario Nazionale.

Come si evince poi dalla tabella, i contribuenti delle prime due fasce di reddito (da zero o negativi fino a 7.500 e da 7.500 euro a 15mila di reddito lordo annuo) sono 18.156.997, pari al 43,88% del totale contribuenti, e versano il 2,42% di tutta l’IRPEF, pari a 4,15 miliardi di euro (meno di 32 euro a testa, 22 considerando i cittadini) e, di conseguenza, si suppone, anche pochissimi contributi sociali. Ragione per la quale, con molte probabilità, saranno dei futuri anziani assistiti dalla collettività. I dichiaranti tra i 15.000 e i 20.000 euro di reddito lordo sono 5,724 milioni, versano il 6,56% dell’IRPEF totale, pari a 11,255 miliardi, e un'imposta media di 1.966 euro, che si riduce a 1.348 euro per cittadino: un importo, dunque, ancora insufficiente a coprire per intero anche il solo costo pro capite della spesa sanitaria (1.886,51 euro). Questi primi 3 scaglioni di reddito, che rappresentano circa il 60% della popolazione versano 15 miliardi di IRPEF (l’8,98% del totale) e sono quindi a quasi totale carico di altri cittadini: non possono certamente dirsi oppressi dalle tasse! 

Tabella 1 - Analisi delle dichiarazioni dei reidditi ai fini IRPEF 2019 per classi di reddito complessive

Tabella 1 - Analisi delle dichiarazioni dei reidditi ai fini IRPEF 2019 per classi di reddito complessive

Fonte: elaborazioni Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali su dati MEF

Considerando il gettito IRPEF 2018, al netto del bonus Renzi e di tutte le agevolazioni, pari a 171,63 miliardi di euro tra IRPEF ordinaria (l’89,93% del totale), addizionali regionali (7,17% del totale) e addizionali comunali (2,89%), il grosso del carico fiscale e dal finanziamento del nostro welfare state grava sul 13,07% di contribuenti con redditi da 35mila euro in su i quali versano circa il 58,95% di tutta l’IRPEF e non beneficiano, se non marginalmente, dei bonus, sconti, agevolazione, detrazioni e deduzioni. Dato su cui riflettere quando si affronta lo spinoso tema della riforma fiscale. 

In dettaglio, sopra i 300mila euro di reddito lordo annuo dichiarato si trova solo lo 0,10% dei contribuenti (40.880 soggetti), che pagano il 6,05% dell’imposta complessiva: lo 0,10% paga più del doppio del 43,88% degli italiani! Tra 200mila e 300mila euro si colloca invece lo 0,14% dei contribuenti, che versa il 3,06% di tutta I’IRPEF, mentre con redditi lordi sopra i 100mila euro c’è l’1,22% dei contribuenti, che tuttavia pagano il 19,80% dell’IRPEF. Sommando a questi scaglioni anche i titolari di redditi lordi da 55.000 a 100mila euro, si ottiene che il 4,63% dei contribuenti paga il 37,57% dell’imposta totale e, considerando anche i redditi dai 35.000 ai 55mila euro lordi, si arriva al famoso 13,07% che paga il 58,95% di tutta l’IRPEF. Volendo infine ricomprendere anche il 7,77% dei contribuenti con redditi dai 29 ai 35mila euro che tuttavia versano imposte non sufficienti a pagarsi tutti i servizi di cui beneficiano (in primis sanità, assistenza sociale e istruzione) si ottiene che il 20,84% versa quasi il 72%% di tutta l’IRPEF, il 21,43% dei contribuenti tra 20 e 29 mila euro l’anno versa il 19,54%, insufficiente per pagarsi tutti i servizi (3.782 euro per contribuente e 2.593 euro per cittadino), mentre il restante 58% circa paga solo l’8,98%. 

Un altro dato interessante è poi la percentuale di aliquota media pagata da ogni singolo scaglione di reddito: fino a 12.000 si aggira intorno al 2%, passa tra il 5% e il 9% per redditi da 12 a 20mila, per salire al 16% fino a 29mila; sopra i 29mila e fino ai 40mila si va dal 19% al 21% e infine si sale fino al 39-40%. Se l’idea, ad esempio, fosse quella di ridurre le aliquote medie per i redditi tra i 20 e i 35mila euro di 3 punti percentuali, le entrate si ridurrebbero di circa 10 miliardi. A pagare il conto sarebbe ancora quel 13% che, certamente, si vedrebbe ridotto il già esiguo numero di deduzioni e detrazioni - polizze sanitarie, fondi pensione, ristrutturazioni e poco altro - con il rischio, paventato da alcuni partiti politici, di doversi pure pagare la sanità pubblica in quanto ricchi. 

Sorge allora inevitabile una domanda. Perché pagare le tasse per poi non ricevere alcun servizio? Perché lavorare tanto, magari in proprio senza ferie e malattie, sacrificando sé stessi e le famiglie se poi lo Stato si riprende oltre la metà dei redditi del lavoro, vuole aumentare l’imposta sui risparmi, che sono frutto di guadagni già tassati, aumentare le tasse di successione e, dulcis in fundo, applicare anche una patrimoniale? Forse è ora di finirla di dire che i soldi si prendono dove ci sono perché questa non si chiama solidarietà: si chiama piuttosto furto. 

È persino ovvio che siamo in presenza di una grande evasione fiscale di massa perché non si potrebbe spiegare diversamente la capillare distribuzione di beni e servizi. Soluzioni come la flat tax invocata da alcuni partiti politici, come visto dalla distribuzione delle aliquote percentuali sui redditi, sarebbero inefficienti per oltre il 70% dei contribuenti, mentre per il restante circa 20% i liberali di noi altri non prevedono ovviamente riduzioni di imposta: altrimenti chi paga il nostro welfare? E poi questi contribuenti sono pochi e non votano questi partiti, come nel caso dei 35.600 vecchietti che, dopo una vita di contributi e tasse, si sono visti “tagliare” le pensioni dal duo M5S e Lega (i giovani leoni) perché definite d’oro, un'espressione dispregiativa che già di per sé aumenta l’odio sociale verso queste persone. Il tutto senza alcun ricalcolo, un vero e proprio aumento della tassazione.

Solo il contrasto di interessi, di cui beneficerebbero oltre 25 milioni di famiglie, potrebbe ridurre quest'enorme evasione e redistribuire meglio il carico fiscale. Manca però il coraggio politico di farlo.  

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

29/3/2021

L'articolo è stato pubblicato su Panorama del 10/3/2021
 
 

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