La distruzione della previdenza complementare privata – seconda parte

Dopo aver parlato dell’Argentina, che nel 2008 ha fatto da apripista alla tendenza ad interventi di salvaguardia della finanza pubblica a tutto danno della previdenza complementare privata, ci occupiamo dell’Ungheria ... 

Dopo aver parlato dell’Argentina, che nel 2008 ha fatto da apripista alla tendenza ad interventi di salvaguardia della finanza pubblica a tutto danno della previdenza complementare privata, ci occupiamo dell’Ungheria, altro Paese che nel 2010 si è avviata sullo stesso cammino a seguito di un pesante intervento sulla propria normativa previdenziale.

Il 13 dicembre 2010 il Parlamento ungherese ha approvato il Disegno di legge del Ministro dell’Economia Matolcsy Gyorgy (T/1817) che aveva per oggetto una profonda riorganizzazione del sistema pensionistico. Il risultato è stato il sostanziale azzeramento della fondamentale riforma del 1998, che aveva modernizzato il sistema ungherese con l’introduzione della previdenza privata volontaria quale terzo pilastro. Tra il 1998 e il 2010, infatti, il sistema pensionistico obbligatorio ungherese era formato da tre pilastri: il primo pilastro era rappresentato dal classico sistema pubblico a ripartizione che richiama sempre di più un sistema a contribuzione definita. Il secondo privato era rappresentato da un sistema previdenziale privato obbligatorio finanziato dai lavoratori con circa l’8% del salario lordo ovvero quasi un quarto della contribuzione totale. L’ultimo pilastro era infine rappresentato da un limitato sistema privato volontario che ha beneficiato di agevolazioni importanti.

Ma partiamo dalle motivazioni: nel novembre 2010 il Ministero dell’Economia ungherese ha presentato un proprio documento, “The reform of the Hungarian pension system (A reformed reform)”, che gettava le basi per  un intervento legislativo sulla normativa previdenziale, individuando le seguenti criticità:

  • un accumulo di contribuzioni troppo modesto per ottenere un significativo ritorno pensionistico, complice anche una inadeguata politica fiscale di incentivazione;
  • l’insostenibilità del sistema a tre pilastri che avrebbe minacciato la stabilità dei bilanci statali nel breve, medio o lungo periodo, emersa già durante la transizione verso il sistema del 1998, quando lo Stato fu costretto a garantire un sussidio a tutti i partecipanti, nell’attesa dell’entrata a regime delle prestazioni dei fondi pensione privati;
  • l’iniquità per le fasce di popolazione più disagiate, che non erano in grado di versare contributi sufficienti a formare una pensione complementare durante la vita lavorativa. Anche in questo caso lo Stato sarebbe stato chiamato a finanziare le situazioni deficitarie;
  • il rischio, già emerso con la crisi finanziaria del 2008, che i fondi privati non garantiscano una prudente gestione del portafoglio, rischio ineliminabile nemmeno con un inasprimento della specifica regolamentazione;
  • la pressione demografica che iniziava già a rendere inadeguata la riforma del 1998.

In sostanza, a parte le argomentazioni di corollario, la motivazione principale della riforma era rappresentata dal finanziamento sempre più problematico del pilastro pensionistico statale, che contribuiva in modo determinante ad un deficit statale atteso per il 2011 in circa 4,3 miliardi di dollari, superiore quindi al fatidico 3% sul PIL richiesto dall’Europa. L’intervento è stato ritenuto necessario anche alla luce delle regole contabili comunitarie in materia di rendicontazione del debito, che ancor’oggi prevedono l’inclusione dei trasferimenti alle pensioni private obbligatorie nei calcoli delle passività dei governi.

Con questa profonda riforma l’immediato effetto sulle finanze statali è stato il trasferimento di circa 14 miliardi di dollari di asset appartenenti a fondi pensione privati (pari a oltre il 11% del PIL ungherese), direttamente nelle casse dello Stato. Il governo ha stimato così di chiudere il deficit di bilancio al 3,8% per il primo anno e al 3% il successivo, permettendo all'Ungheria di rispettare gli impegni assunti con l'Unione Europea per l’uscita dalla procedura di infrazione per deficit eccessivo.

In particolare, la nuova legge:

  • Abolisce il pilastro privato obbligatorio e scala ad un sistema a due pilastri, incanalando i contributi dai fondi privati al pilastro pubblico. Una volta entrata a regime la riforma, tutti i versamenti di lavoratori e datori di lavoro sono stati dirottati verso un apposito fondo gestito dallo Stato. Gli asset nei fondi privati obbligatori rappresentavano circa 14 miliardi di dollari.                                             
  • Prevede che l'importo accumulato nel regime pensionistico privato a contribuzione definita possa essere convertito solo in una rendita al momento del pensionamento. Inoltre tale rendita deve prevedere almeno lo stesso tipo d’indicizzazione rispetto alle pensioni in fase di erogazione presso il regime pensionistico pubblico. Il calcolo dei tassi di sostituzione deve basarsi sull’aspettativa di vita della popolazione senza distinzione di genere.
  • Converte il criterio di calcolo delle pensioni pubbliche. Dal 1° gennaio 2013, il sistema pensionistico pubblico si è trasformato da una sistema a ripartizione ad un sistema a capitalizzazione basato su conti pensionistici individuali.
  • Lascia ai lavoratori la possibilità di permanere nel sistema (a fronte di pesanti disincentivi) o trasferire la propria posizione nel pilastro pubblico. A differenza della riforma argentina del 2008, quindi, l’esecutivo ungherese lascia la possibilità di scelta ai propri cittadini, anche se sostanzialmente in modo fittizio. Infatti, con queste regole solo 102.000 persone sono rimaste nel sistema privato, contro i 3,1 milioni di persone che alla fine del 2010 vi aderivano.

Come nel caso dell’Argentina, la riforma ungherese risponde alla necessità di rimpinguare le casse dello Stato. Lo strumento utilizzato è l’Agenzia Governativa per la Gestione del Debito (Államadósság Kezelő Központ – ÁKK) , una società per azioni di diritto privato cui è stata affidata, tra gli altri compiti, la gestione di un nuovo fondo (Nyugdíjreform Alap) che ha accolto i contributi degli aderenti ai fondi privati. L’obiettivo dichiarato di questo ente è quello di (ri)finanziare il debito pubblico e il deficit del governo centrale ai tassi più bassi nel lungo periodo.  Accedendo all’homepage del sito internet dell’ÁKK, è possibile accedere alla sezione dedicata al fondo dove sono presenti due sezioni: una riguardante le attività detenute dal fondo e un’altra, ben più corposa, che riporta gli importi utilizzati per la riduzione del debito pubblico (Adatszolgáltatás a Nyugdíjreform és Adósságcsökkentő Alap költségvetésbe teljesített befizetéseiről és az államadósság csökkentéséről).

Sebbene nel biennio 2010-2012 si sia registrata una riduzione del debito pubblico dall’82% al 79%, conseguenza immediata dell’assorbimento del pilastro privato obbligatorio e di altre misure di minore entità, non è diminuito lo scetticismo degli investitori. Il fiorino ha perso il 5% sull'Euro dalla prima vittoria elettorale di Fidesz nell’aprile 2010, e i rendimenti dei titoli a tre e cinque anni hanno fatto un balzo da 2 punti base a quasi 8.

Questa riforma, malgrado le sue conseguenze negative, non ha danneggiato la popolarità del partito di maggioranza Fidesz – Unione Civica Ungherese (nelle scorse elezioni politiche di aprile il partito ha registrato il 44,54% di preferenze confermandosi primo partito del paese, risultato confermato nelle ultimissime elezioni europee dove il partito ha superato il 50% di consensi). La spiegazione sta nei sondaggi, secondo cui la maggioranza degli ungheresi non credeva già nella riforma del 1998 e nella possibilità di pensioni adeguate, anche se viene contestata la sostanziale mancanza di una alternativa al sistema pubblico.

Nel prossimo articolo si parlerà della Polonia, ultimo paese in ordine cronologico ad adottare scelte analoghe.

Stay tuned!

 

Stefano Nava @ste_nava

10/06/2014

 

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