La distruzione della previdenza complementare privata - Prima parte

In un precedente articolo si è trattato l’approccio del Regno Unito in materia di previdenza complementare. Tale approccio risulta essere coerente con l’orientamento indicato dell’Unione Europea e teorizzato nei c.d. Libro Verde (2010) e Libro Bianco (2012) ...

In un precedente articolo si è trattato l’approccio del Regno Unito in materia di previdenza complementare. Tale approccio risulta essere coerente con l’orientamento indicato dell’Unione Europea e teorizzato nei c.d. Libro Verde (2010) e Libro Bianco (2012) che rappresentano un tentativo di risposta coordinata a livello comunitario alle questioni legate all’adeguatezza e sostenibilità dei sistemi pensionistici.

Poco si parla dei paesi che hanno deviato da queste istruzioni e hanno scelto strade diverse e spesso divergenti. Con questo primo contributo si aprirà un ciclo di articoli riguardanti le realtà europee ed extra-europee dove si sta assistendo alla distruzione della previdenza complementare privata a seguito di provvedimenti governativi, riconducibili alla crisi economica generale. Questo percorso si concluderà con riflessioni sulla realtà italiana, alla ricerca di similitudini nelle situazioni generali che potrebbero originare interventi di pari contenuto.

Oggi parliamo dal paese apripista di questa tendenza globale: l’Argentina.

Nell’ottobre 2008 il governo guidato da Cristina Elizabeth Fernández de Kirchner annunciò la nazionalizzazione dei dieci più grandi fondi pensione privati distruggendo inevitabilmente un mercato in espansione che impiegava, considerando l’indotto, 11.000 addetti. Le risorse accumulate in 14 anni dall’esistenza dei fondi pensione privati, che equivalevano a circa 30 miliardi di dollari, furono trasferite così da una serie di istituzioni private denominate AFJP (Administradoras de Fondos de Jubilaciones y Pensiones) all'istituto nazionale di previdenza sociale ANSES (Administración Nacional de la Seguridad Social). La manovra ha interessato circa 9,5 milioni di sottoscrittori di fondi privati che non hanno avuto voce in capitolo e, contro la propria volontà, hanno visto i propri fondi assorbiti nell’ente nazionale pubblico.

La ragione ufficiale che ha portato a questa riforma è stata descritta dalla presidente Fernández come una “decisione strategica”, finalizzata a preservare i risparmi dei pensionati argentini, altrimenti soggetti a rischi di bassi rendimenti e di perdite per impieghi rischiosi, che la gestione pubblica avrebbe evitato.

Nello specifico questa riforma, che è stata attuata attraverso l’approvazione della legge 26.425, prevedeva principalmente che:

  • la previdenza complementare privata fosse inglobata nel sistema pubblico, che già contemplava l’esistenza di un sistema previdenziale complementare gestito dallo Stato, con conseguente azzeramento della precedente normativa;
  • la base di calcolo della prestazione pensionistica fosse adeguata a quanto previsto dal sistema pubblico in materia di previdenza complementare, passando dal sistema contributivo ad un sistema retributivo basato sugli ultimi dieci anni lavorativi;
  • le rendite vitalizie già in fase di erogazione continuassero ad essere rimborsate dai rispettivi fondi in modo da non gravare sulle casse pubbliche;
  • fossero vietati investimenti di fondi all’estero.

Dall’analisi critica della manovra emergono aspetti che portano a prevedere conseguenze inquietanti per il futuro del sistema previdenziale argentino:

  • il ritorno al sistema retributivo rappresenta un indubbio ritorno al passato che già numerose esperienze internazionali hanno certificato essere insostenibile nel lungo periodo;
  • la decorrenza della riforma impegna lo Stato solo per il futuro e lascia a carico delle gestioni private, già depauperate dei fondi sinora raccolti, il pagamento delle rendite già maturate, con impatto devastante ed economicamente insostenibile per i gestori dei fondi;
  • il divieto di investimenti all’estero, che evidentemente ha l’obiettivo di risanare i conti tramite una forma palese di protezionismo, indebolirà il mercato dei capitali in Argentina. E’ infatti universalmente riconosciuto che la diversificazione anche internazionale è fondamentale per un’allocazione ottimale delle risorse.

Giova anche notare che, stando allo studio di due economisti argentini (Ferro e Castagnolo), i risultati delle gestioni dei fondi previdenziali, pubblici e privati, si trovavano sulla cosiddetta “frontiera efficiente”. Il portafoglio medio generava un rendimento mensile dello 0,92%. Senza i limiti imposti dalle norme, si valuta che i fondi sarebbero stati in grado di ottenere un rendimento mensile del 2,35%. Questi risultati valgono anche per i tre principali fondi pensione privati (Consolidar, Met e Arauca Bit), anch’essi sulla frontiera efficiente. Questi dati quindi smentiscono la motivazione ufficiale addotta dalla Fernández riguardo alle presunte inadeguate performances dei fondi privati.

Qual è invece il vero tornaconto per il Governo Argentino?

La riforma del 2008 non solo ha spostato i capitali dall’AFJP alla previdenza pubblica ma ha anche evitato al governo di ripianare i debiti nei confronti dei fondi pensione privati. Il governo argentino è potuto incorporare 313 milioni di dollari, corrispondenti a quanto dovuto dal governo alle AFJP per le obbligazioni indicizzate al PIL del 15 dicembre 2008. Queste obbligazioni, emesse per far fronte alla ristrutturazione del debito del 2005, hanno determinato, negli anni precedenti, grandi esborsi per il governo argentino; per esempio nel 2006 l’impegno per rimborsare questo tipo di obbligazioni è stato pari a 389 milioni di dollari e nel 2007, a causa della particolare indicizzazione, la ripresa dell’economia ha fatto lievitare l’esborso a ben 821 milioni di dollari. Questo effetto è stato considerato come il “primo successo fiscale” del governo Kirchner appena insediato.

Una volta che i fondi pensione privati sono stati trasferiti all’ANSES, una gran quantità di titoli di Stato è stata automaticamente riassorbita dall’ente statale insieme ad azioni di società nazionali. Conseguentemente, l’ANSES è diventato uno dei principali creditori del governo argentino ed è diventato il principale azionista di molte società. Nel settembre 2008 sono stati trasferiti 1,4 miliardi di dollari dall’ANSES al governo aumentando di circa il 50% (rispetto la fine del 2007) la quantità di titoli di Stato nel portafoglio dell’ANSES.

L’ANSES utilizza il Fondo de Garantía de Sustentabilidad del Régimen Previsional Público de Reparto (FGS) come mezzo finanziario per l’investimento dei capitali destinati al sistema pensionistico. Fin dalla nascita di questo fondo avvenuta nel 2007, il 65% del patrimonio può essere utilizzato per “operazioni di credito pubblico”. Per questa ragione, nell’Aprile 2009 l’ANSES ha acquistato, tramite l’FGS, 400 milioni di dollari in buoni del tesoro, raggiungendo così la quota di 1,8 miliardi di dollari di titoli pubblici in portafoglio. L’ANSES, attraverso le “operazioni di credito pubblico” promosse dall’FGS, si riconferma di essere uno dei principali sovvenzionatori dello Stato.

Sulla falsariga dell’esperienza argentina, anche altri paesi hanno attuato delle riforme che sono sfociate nella nazionalizzazione della previdenza complementare privata con obiettivi ben diversi dall’ottimizzazione del sistema previdenziale. Nel prossimo articolo si parlerà del caso Ungheria, secondo paese in ordine cronologico che, per il bene superiore rappresentato dalle finanze pubbliche, ha sacrificato il futuro previdenziale dei propri cittadini.

Stay tuned!


Stefano Nava @ste_nava

30/05/2014

 

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