La distruzione della previdenza complementare privata - Terza Parte
La Polonia, in ordine temporale, è per ora lultimo paese che sulla scia dellArgentina e dellUngheria ha riformato profondamente il sistema pensionistico nazionale, in particolare per quanto riguarda il settore privato ...
La Polonia, in ordine temporale, è per ora lultimo paese che sulla scia dellArgentina e dellUngheria ha riformato profondamente il sistema pensionistico nazionale, in particolare per quanto riguarda il settore privato.
Fino a novembre 2013, il sistema pensionistico polacco era composto da tre pilastri: un pilastro pubblico obbligatorio a ripartizione, un secondo pilastro complementare privato obbligatorio e un terzo pilastro gestito sempre dai privati ma ad adesione volontaria. Questo sistema possedeva un buon livello di adeguatezza, tanto che il Melbourne Mercer Global Pension Index (autorevole riferimento per gli studiosi dei sistemi previdenziali a livello mondiale, pubblicato annualmente a cura dellAustralian Centre for Financial Studies e della società di consulenza Mercer del gruppo Marsh & McLennan), nella sua ultima edizione del 2013, lo valutava con un dignitoso livello C, al pari di USA, Germania e Francia.
Il settore era molto normato e il mercato pensionistico privato era in rapida espansione, anche grazie a grandi sforzi mediatici profusi dal governo attraverso spot televisivi/radiofonici, convegni e opuscoli informativi, finalizzati a sensibilizzare la popolazione sulla necessità di costruirsi una pensione complementare.
La situazione nel terzo trimestre del 2013 confermava le positività: circa 16.381.940 persone partecipavano con i loro contributi al secondo pilastro, i fondi pensione operanti sul mercato polacco erano 13 e gestivano un totale di poco più di 93 miliardi di dollari di asset netti. Il settore dei fondi pensione in Polonia era e diventa sempre più concentrato, caratteristica tipica dei paesi emergenti che hanno seguito un cammino simile di riforma del sistema. Sotto il profilo di capitale a gestione discrezionale, i fondi pensione hanno rappresentato la categoria più ampia dinvestitori istituzionali sul mercato borsistico polacco (basti pensare che a fine 2012, il totale degli asset delle compagnie di assicurazione era pari a circa 53 miliardi di dollari).
Questo fino alla notte del 5 settembre 2013, quando il Governo Tusk ha nazionalizzato i bond dei fondi previdenziali privati, attivando una concatenazione di eventi che, al momento in cui si scrive, non sembra arrestarsi.
La manovra perpetrata dal premier polacco Donald Tusk è riassumibile nella nazionalizzazione degli attivi dei fondi già investiti in titoli pubblici polacchi (circa il 50% degli asset totali per circa 38 miliardi di dollari) e conseguente:
- divieto ai fondi di acquistare nuovi titoli pubblici;
- obbligo al trasferimento al pilastro a ripartizione pubblico di tutti gli attivi dei fondi privati dieci anni prima dell'età di pensionamento ufficiale;
- passaggio allo ZUS (omologo dellINPS italiana) del processo di erogazione delle pensioni, indipendentemente dal gestore originario;
- destinazione dei nuovi versamenti contributivi allo ZUS, salvo un dissenso implicito da parte del singolo aderente al fondo.
Perché questo intervento sulla previdenza, in un contesto che non richiedeva modifiche così strutturali?
La causa è da ricercarsi nel tentativo di contrastare le difficoltà di bilancio statale. Con la crisi del 2008-09 il deficit strutturale rispetto al PIL è passato dall1,9% del 2007 al 7,8% del 2010 e il rapporto debito/PIL previsto dal trattato di Maastricht è salito dal 45% nel 2007 a circa il 57% nel 2011. A questo si aggiunga che la costituzione polacca prevede un limite del 60% del rapporto debito/PIL e linnesco di meccanismi automatici correttivi in caso di sforamento. La situazione era però tale che interventi di tipo fiscale o di spending review sarebbero stati insopportabili per i polacchi; la nazionalizzazione degli attivi dei fondi pensione privati è parso il minore dei mali. Stimiamo che la manovra abbia riportato il rapporto debito/PIL al di sotto del 50%.
Non sono mancate le immediate reazioni:
- tonfo del Warszawski Indeks Gieldowy (borsa di Varsavia). Il 5 settembre 2013 ha chiuso con un pesante -4,3%, rispetto al giorno precedente, la peggior giornata dal 2012 a questa parte.
- crollo dei prezzi delle obbligazioni, con rendimenti dei titoli di Stato a 10 anni che hanno raggiunto un massimo del 5,04% annuo;
- la moneta polacca, lo Zloty, ha raggiunto i suoi livelli più bassi in quasi due mesi.
Ancor peggiori i rischi sul medio/lungo termine:
- riduzione degli investimenti stranieri, specie delle più influenti compagnie di assicurazione nel panorama europeo. Lo sviluppo del paese, che fino a pochi anni fa registrava tassi di crescita del PIL tra l1 e il 7%, è stato in gran parte dovuto allinsediamento di multinazionali straniere che hanno spostato qui le loro produzioni (vedasi per esempio Fiat). Ovvio che un ridimensionamento di queste delocalizzazioni andrebbe a pregiudicare lo sviluppo economico polacco;
- peggioramento del giudizio delle Agenzie di Rating. Le tre principali agenzie di rating Moodys, Standard & Poor e Fitch - hanno già dichiarato che loutlook del debito sovrano polacco sarà neutrale, visto che il miglioramento del profilo del debito sarà corrispondente a una riduzione della liquidità.
E fuor di dubbio che queste modalità di intervento, adottate per alleggerire artificiosamente i passivi delle casse dello Stato in questo periodo di crisi, vanno sempre più di moda, e ancora una volta è la previdenza complementare privata a farne le spese.
Nel prossimo articolo, ultimo del ciclo, verranno tirate le conclusioni. Si discuterà sulla situazione italiana e sui rischi reali che corre il settore della previdenza complementare nel nostro paese.
Stay tuned!
Stefano Nava @ste_nava
04/07/2014